1901: in Svezia avvenne la consegna del primo premio Nobel; in Australia si raggiunse la tanto agognata indipendenza dal Regno Unito; negli USA venne eletto come nuovo presidente Theodore Roosevelt. E in Italia? Per molti italiani (i più acculturati almeno), il 1901 è sinonimo di radio: il 12 dicembre infatti, Guglielmo Marconi trasmise la lettera "s" dall'Inghilterra al Canada, aprendo un nuovo capitolo nella storia delle comunicazioni (anche se l'ombra di Nikola Tesla non rende chiaro a chi vadano assegnati pienamente i meriti). Ma non solo. C'è una parte d'Italia che ricorda quel secondo anno del XX secolo anche per un'altra occasione, avvenuta proprio 113 anni fa esatti: la partenza del primo Giro Automobilistico d'Italia.
La corsa vanta una storia travagliata, ma carica di passione: partì il 27 aprile 1901 da Torino, con una lista partenti di 72 nomi e un percorso di 1650 km che toccava città come Genova, Firenze, Roma, Perugia, Bologna, Verona e il traguardo, Milano. La seconda edizione venne messa in naftalina e riportata alla luce solo nel 1973, sempre su spinta dell' Automobile Club di Torino, ma prima di fare quel salto temporale, è conveniente raccontare quella che fu la prima edizione.
Passione; coraggio; innovazione; propaganda; dolore; generosità. Sono questi i termini che vengono in mente pensando a quella corsa. Era la pura esaltazione del "motorismo" e della "Belle Epoque", una corsa tra gentlemen benestanti che aveva come scopo la pubblicità dei nuovi mezzi a motore, ma ci furono anche dei casi particolari: i capitani Orsi e Onnis vennero posti su una Peugeot Type 31 per valutarne l'affidabilità e la qualità, in vista di un possibile uso bellico.
Ma a parte questo caso isolato, si trattò di una favolosa, sfavillante operazione di marketing, con una partecipazione del pubblico che oggi i vari circus iridati non potrebbero neanche immaginare. Lanci di fiori, musica, grida di supporto ed esultanza dei cittadini, e addirittura l'affido di un agnellino vivo ad un concorrente affinchè lo portasse da Grosseto alla città del Duomo.
Tutto questo in 15 giorni di accelerazioni, frenate e sterzate sulle stradine nostrane, sotto le sferzate di un tempo particolarmente maligno (dei 72 iscritti ne partirono solo 32) e della cattiva sorte che portò alla morte di una piccola spettatrice di Ferrara, l'undicenne Armida Montanari. Ma anche qui si notano le differenze tra il mondo di oggi e quello di oltre un secolo fa: nell'epoca del rispetto e dell'onore, vennero donate 1000 lire alla famiglia della vittima, 500 ai poveri della parrocchia locale e, con una colletta generale, si usarono 2000 lire per costruire un asilo.
113 anni dopo, un commissario morto durante il GP del Canada per una terribile fatalità è stato subito dimenticato dall'ostentazione di un "club privato" di avidi imprenditori chiamato "F1".
Nonostante il travolgente successo, il Giro venne riproposto dopo 72 anni, dal 1973 al 1980, con qualche piccola modifica: divenne più completo, più competitivo e più blasonato, grazie anche alla partecipazione di grandi nomi, quali: Villeneuve, Patrese, Alboreto, Regazzoni, Scheckter, Merzario, Munari, Alen, Biasion e Rohrl. Come si può notare, oltre alle superstars della F1, vi presero parte anche personaggi dello scenario rally, a sottolineare la grande varietà di prove a cui vennero sottoposte le auto.
Poi di nuovo il vuoto: due sciape edizioni nel 1988 e 1989 e, infine, un "revival" datato 2011.
Oggi che cosa rimane di quella corsa? L'albo d'oro? La lista partenti? I dati cronometrici? Sì, anche. Ma per far rivivere veramente cosa significasse "Giro Automobilistico d'Italia", forse la cosa più appropriata è riportare questo passo contenuto nel programma della prima edizione:
"Chi non vede e non sente tutto il fascino ed il pittoresco di una numerosa carovana di automobili, vari per forma e grandezza, dal motociclo alla vetturetta, dalla vetturetta al colosso di quindici o venti cavalli di forza, percorrenti ora le strade piene e ben tenute del Veneto, ora quelle così variate e pittoresche costeggianti da Bologna a Firenze e a Roma l'Appennino, ora quelle solitarie dell'Agro romano, quelle così accidentate lungo il Mediterraneo, portanti ovunque il verbo del nuovo mezzo di trasporto! Prova più pratica non vi potrebbe essere, e i risultati di essa varranno meglio di cento corse a determinare i pregi e i difetti dei vari sistemi".