Luca ha 31 anni. E’ un libero professionista. Laureato nei termini, ha frequentato un master di specializzazione durante la pratica professionale e ha passato l’esame di stato per l’abilitazione al primo tentativo. Parla benissimo due lingue straniere. Ẻ preparato, ama il suo lavoro, per la carriera ha tralasciato la vita privata. E poi è arrivata anche la crisi! Così, prima è sfumato il sogno di diventare giovane associato, poi, al rifiuto della proposta di lavorare per lo stesso numero di ore alla metà del compenso, è scomparso anche il posto di collaboratore.
Senza preavviso, lavorando con partita Iva.
Luca sta cercando lavoro da quattro mesi. Da agosto ha inoltrato almeno quattrocento candidature. Ha cominciato con gli studi professionali su diverse Province. Ha proseguito con le aziende, si è affidato agli head hunter. Ha registrato i suoi dati nei database dei principali brand nazionali. Per aumentare le sue chances, sta prendendo la seconda laurea in lingua inglese, disposto a trasferirsi non importa dove: unica condizione, un lavoro in cui sfruttare le competenze e abilità per cui ha studiato, e che magari un domani gli permetta di poter pensare di costruire una famiglia. Non trovando riscontro ha cominciato a dare la propria disponibilità come impiegato, amministrativo, contabile, segretario, assistente di direzione, receptionist.
Disponibile a trasferte di qualunque durata, in qualunque parte del mondo, automunito, sottopagato. Nulla.
Lo step intermedio del mercato è il primo ostacolo: spesso nelle agenzie di ricerca e selezione del personale chi esamina i curriculum non è così preparato da capire che una competenza superiore può voler sottintendere mille mansioni meno qualificate.
Chi ne è consapevole, scarta per paura che il candidato poi fugga, alla prima offerta più allettante. Svilente è poi, se capita di interfacciarsi con chi ha commissionato la ricerca, il sentirsi dire che il curriculum è troppo specializzato per la figura richiesta. Comprensibile che un ragazzo con un ottimo background, nonostante possa scendere a compromessi, costi comunque di più di un ragazzino da formare.
Senza dimenticare il fattore età, che cancella anche l’ultima possibilità una volta fuori target dalle agevolazioni fiscali.
Tuttavia, una domanda sorge spontanea per imprenditori e titolari di studio: perché siete disposti a perdere di vista capitale umano valido, perché ridurre il know how che potrebbe garantire un enorme valore aggiunto all’immagine di zavorra economica per l’attività? Vogliamo forse dire a giovani che si sono applicati, che hanno investito per il loro futuro, dopo anni di gavetta, di rinunciare al poter mettere in pratica quando studiato per anni? Di peggiorare il proprio profilo per renderlo appetibile a ruoli minori? Di adattarsi alle condizioni di ribasso continuo di un mercato che con la scusa della crisi mai premierà se nessuno si oppone per cambiarne le regole?
Luca ora fa il barista tre volte a settimana, guadagna 500 euro netti al mese perché la sua voglia di rimettersi in gioco e il suo viso pulito hanno convinto il proprietario di un locale. Di giorno continua la sua ricerca della felicità, studia, si aggiorna, scrive per un giornale gratuitamente. La sua partita Iva è inattiva da mesi, i risparmi stanno finendo. Nonostante tutto, crede ancora che la meritocrazia esista. Anche in Italia. Mi unisco alla speranza di tutti i Luca che (soprav)vivono, con umiltà e dignità, in attesa della loro meritata ricompensa.