Il mondo del lavoro (quando c’è) è in continua evoluzione, la tecnologia modifica gli stili, la flessibilità va incontro alle esigenze organizzative, la cultura del management no.  Sin dagli anni novanta, si parla di telelavoro, di lavoro a distanza e di flessibilità organizzativa, ma di concreto si è visto ancora poco e la cultura aziendale spesso è di ostacolo al cambiamento e diviene un muro insormontabile per lo sviluppo di nuovi modelli di lavoro.

Le tecnologie oggi disponibili consentono di svolgere buona parte delle attività professionali a distanza, ma nel nostro Paese soltanto il 5% dei lavoratori può definirsi un vero e proprio “smart worker”.

Gli stili di lavoro smart prevedono delle differenziazioni: chi lo è per il grado di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi di lavoro può essere definito un “distant o mobile worker; chi per orari di lavoro è un “flexible worker”, chi invece lo è per la scelta degli strumenti da utilizzare, siano essi aziendali o personali, è  un “adaptive worker”.

L’adozione di modelli di lavoro alternativi al modello classico presenta aspetti positivi sia in termini di produttività che di benessere personale. In termini di produttività è stato stimato che aumenterebbe la produttività media per lavoratore del 25% e diminuirebbe il costo del lavoro, sul fronte del benessere personale migliorerebbe la vita personale del lavoratore per la possibilità di gestirsi in autonomia, essere meno soggetto a stress, non utilizzare veicoli a motore coi costi che comporta per il portafoglio e per l’ambiente.

Recenti studi effettuati dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano appurati da un indagine in collaborazione con l’istituto Doxa hanno evidenziato che l’80% dei lavoratori utilizzano uno strumento tecnologico per oltre il 50% del tempo lavorativo. Del campione, la maggior parte utilizza pc fissi, il 17% pc portatili e circa il 4% dispositivi mobile.

Sul fronte flessibilità, solo il 26% del campione lavora fuori dall’ufficio o in mobilità per almeno metà del tempo lavorativo, una percentuale bassa , ma fatta di soggetti contenti e motivati dalla maggiore flessibilità rispetto ai colleghi chiusi tra le mura d’ufficio. L’autonomia nella personalizzazione dell’orario è ancora poco in voga, ma chi ne approfitta ha sicuramente il vantaggio di iniziare e termine l’attività quotidiana e gestire gli orari in modo da coniugare interessi familiari.

Quindi, se la tecnologia e la flessibilità, permettono di mettere insieme vita e lavoro, ci si scontra con il mondo reale che non vede di buon occhio un stile lavorativo diverso da parte del lavoratore. Le aziende ostacolano il cambiamento perché, con questi nuovi modelli, secondo il parere dei responsabili delle risorse umane, diminuirebbe il coordinamento e la collaborazione tra dipendenti, ci sarebbe il timore di perdita di controllo da parte dei capi e alcuni lavoratori potrebbero andare incontro alla paura d’isolamento e della marginalizzazione.

Lo stile di lavoro va discusso tra azienda e lavoratore caso per caso tenendo conto di tutte le esigenze, le tecnologie rimodellano gli spazi lavorativi, la flessibilità è uno strumento efficiente soprattutto in caso di maternità, quella che manca ancora è la flessibilità mentale e su questa caratteristica le evoluzioni tecnologiche possono fare ben poco.