La Tobin Tax, imposta sulle transazioni finanziarie, prende nome dal suo promotore James Tobin, premio Nobel per l'economia. Tobin la propose nel 1972 e fu sperimentata in Svezia nel 1984, con risultati fallimentari. Fu revocata nel 1992. Ogni tanto è rispuntata, in diverse forme, in qualche paese occidentale. Ora è tornata di attualità.

In Italia è stata introdotta da marzo 2013, insieme ad altri 10 Paesi europei (Francia, Germania, Spagna, Austria, Belgio, Portogallo, Slovenia, Estonia, Slovacchia). Significativa l'assenza di Londra, uno dei mercati più importanti del mondo.

Si applica a tutte le transazioni su azioni con capitalizzazione superiore a 500 milioni di euro, in misura pari allo 0,12% (0,10% dal prossimo anno). Ad esempio, 1000 Fiat costano 4845,808 euro, di cui 5,808 euro di imposta. Non si applica se l'operazione viene aperta e chiusa nella stessa giornata.

In pratica si colpisce l'investimento, non la speculazione, che agisce a brevissimo termine, per non parlare dei sistemi ad alta frequenza, che operano nell'arco di minuti, aprendo e chiudendo centinaia di operazioni al giorno. Restano anche esclusi titoli di Stato, fondi, ETF e, soprattutto, valute (forex), il più grande e speculativo mercato del pianeta.

La montagna ha partorito il classico topolino.

Facile prevedere un introito fiscale irrisorio. E' possibile anche che, penalizzando gli investimenti, si tolga ossigeno a un mercato già in sofferenza per scarsa circolazione di denaro. Capitali potranno essere dirottati su altre piazze non gravate da imposte, favorendo i "paradisi fiscali".

In un momento in cui però l'oppressione impositiva grava sui cittadini, i governanti potranno dire di avere colpito anche la finanza speculativa.

Lo hanno chiesto frange importanti della politica e sindacati, per un principio che prescinde dalla reale efficacia e dai possibili danni del provvedimento, con una convinzione pari alla loro incompetenza sulla materia. Un esercizio di "demagogia fiscale" cui dovremmo essere abituati.