La violenza sulle donne è l'ingiustizia più vecchia del mondo. Nella tragedia di Euripide, scritta intorno al 400 avanti Cristo, Agamennone era pronto a sacrificare la figlia Ifigenia, in Aulide, per propiziarsi il viaggio verso Troia. Ai compagni di avventura parve un gesto meritorio, segno di devozione agli dei e alla missione da compiere.

Nella Cina arcaica era usanza diffusa uccidere le figlie femmine, considerate un inutile fardello. La pratica sembra essere ancora diffusa presso alcune popolazioni tribali. La storia dal Medioevo sino al 1700 racconta i roghi in cui venivano arse, sotto l'egida delle autorità, presunte streghe, colpevoli solo di comportamenti devianti dal "normale".

In tutte le guerre le donne pagarono un prezzo atroce, considerate prede naturali del vincitore, al pari delle cose e delle proprietà del vinto.

In particolari contesti sociali e culturali che la vorrebbero ancora sottomessa, la donna diventa la vittima designata della sopraffazione e della violenza maschile. Ora la società non è certo diventata più violenta rispetto al passato, è cambiata la sensibilità e l'attenzione al problema. Con ciò, i numeri restano comunque impressionanti.

In Italia nell'anno in corso sono state uccise mediamente due donne alla settimana, quasi sempre da mariti, compagni o fidanzati, nel 2012 le vittime furono 124. Innumerevoli e spesso neppure riportati i casi di aggressioni minori e molestie.

La violenza tra le mura domestiche è tra le principali cause di morte di donne tra i 14 e 44 anni nel mondo. Oltre alla necessaria prevenzione e repressione da parte di forze dell'ordine e magistratura, sembra fondamentale puntare sul nuovo clima che si sta imponendo nel Paese, su una cultura di "difesa della donna". Chi si rende responsabile di questi reati deve avvertire la riprovazione e la condanna da parte della comunità, essere privato di ogni alibi o scusante morale. In tal modo potremo proseguire lungo il nostro percorso di civiltà.