Non molti hanno sentito parlare del coltan, dalle iniziali di columbite e tantalite, una polvere metallica utilizzata per aumentare la potenza e ridurre i consumi energetici nei chip di nuovissima generazione. Non solo negli smartphone, ma anche nelle Playstation, nelle cellule fotovoltaiche, nelle telecamere per computer portatili, fino agli air-bag e ai visori notturni per l'industria aerospaziale.

E' chiaro quindi che questi minerali rari fanno gola a tanti, ad iniziare dalle multinazionali che producono tali dispositivi e componenti elettronici.

Il problema è che l'80% del coltan estratto nel mondo proviene dalle miniere dell'ex Congo Belga, ora Repubblica Democratica del Congo.

Le miniere di coltan sono enormi bacini di fango dove si scavano cunicoli fino al momento in cui questi cedono provocando un abbassamento del livello del cratere; il minerale, pur contenendo uranio, viene spesso estratto a mani nude.

Nella zona del Kiwu, confinante con Ruanda, Burundi, Uganda, si è scatenata da anni una guerriglia sanguinosa per il controllo dei giacimenti tra gruppi para-militari, guerriglieri, tribù, terroristi, senza che i governi riescano (o forse vogliano) intervenire per dichiarare illegale questa prassi.

Le conseguenze di tutto ciò sono da brividi: lavoro forzato e schiavitù anche minorile, alta mortalità di bambini e adolescenti, patologie da radiazioni come tumori e impotenza, epidemie di aids, guerre tribali basate su atti di crudeltà, stupri e violenza sulle donne, milioni di rifugiati, distruzione di boschi, campi, parchi, estinzione di specie protette.

E la cosa grave è che tutto avviene sotto il silenzio dei mass-media del nostro mondo civilizzato, silenzio rotto solo – di tanto in tanto – dalle grida di allarme dell'Onu o di qualche associazione per i diritti umani.