Capita che dopo anni di studio specifico di materie economiche, nel successivo periodo lavorativo si possa maturare una sensazione, ovvero che l'economia tenderebbe eccessivamente a spiegare le sue dinamiche solo con schemi razionali e quantitativi. La realtà pare invece lanciare messaggi meno "imprigionabili" in modelli economici ricchi di ipotesi che per le loro stesse caratteristiche paiono talvolta slegate dalla realtà.

Lo spunto giunge da un interessante articolo di Mattia Ferraresi, "Per battere la crisi ci vuole una famiglia". Esistono dei casi del passato in cui una ricetta sperimentata Oltreoceano e rivelatasi positiva, successivamente sia stata adottata anche nel Vecchio Continente.

Il discorso riguarda la crisi economica e le criticità eventualmente suscettibili di agire in modo positivo, focalizzando su un'ipotizzata correlazione tra l'andamento economico, personale o di un intero paese, rispetto alle dinamiche intertemporali della famiglia.

Proprio di questo si è occupato il Census Bureau americano che ha elaborato dei dati (Fonte dati l'articolo di Mattia Ferraresi: "Per battere la crisi ci vuole una famiglia", Panorama). Nella buona sostanza i dati evocherebbero una visione in cui un contesto familiare personale configurato con il modello della famiglia tradizionale sarebbe "il" terreno fertile ed efficace anche per l'economia. I dati fotografati in un periodo di crisi sosterrebbero la visione positiva del ruolo della famiglia tradizionale come adeguato ed opportuno contesto anche per le condizioni economiche.

L'età media del matrimonio in USA è salita ai 27 anni, un record rispetto al passato. Una casa su quattro è abitata da un single, mentre circa quarant'anni fa il rapporto era di uno a sei. Alcuni esempi sulle presunte "positività" della famiglia: aumenta la mobilità sociale verso l'alto arginando lo scivolamento verso il basso; il 7,5% delle famiglie tradizionali vive sotto la soglia di povertà, ma si sale al 33,9% se la famiglia è un "single"; il grado di istruzione mediamente sale per i figli cresciuti in un contesto tradizionale; uno studio di Bryan Caplan, economista della George Mason University, rivela che gli uomini sposati guadagnano mediamente più dei single a parità di altri fattori.

Considerando poi i consueti beni necessari alla vita, ad esempio la casa e la macchina (Caplan li chiama beni semirivali), appare evidente che chi vive da single è unico e libero utilizzatore di tali beni, ma nel matrimonio esiste invece la percezione che marito e moglie sarebbero per così dire "proprietari" non del 50% ma, nella buona sostanza, di "più di mezza casa/macchina".

Un vantaggio che si presume per una non meglio spiegata alchimia economica resa possibile dalle dinamiche di una famiglia tradizionale.

Anche il messaggio che oltreoceano esce da cinema e TV appare in linea con questa visione. Se negli anni '80 e '90 di forte crescita economica si tendeva ad esaltare i "rampanti", ora invece pare che schemi familiari più classici vengano offerti e proposti come modelli degni di maggiore attenzione.

Sembrerebbe quindi che il matrimonio e la famiglia tradizionale potrebbero essere oggetto di riscoperta da parte dell'America, intendendosi la questione come una "ricetta" anticrisi. E in Europa, in Italia? Lo vedremo nel futuro, anche al netto dei rispettivi contesti, e di ogni evoluzione sociale attualmente in corso.