Chiunque abbia avuto modo di visitare L'Aquila negli ultimi 5 anni ne è venuto via con un senso di depressione che ha incrementato la confusione sull'affaire L'Aquila. Terremoto, distruzione, emergenza, stanziamento di fondi, inutilizzo, scarsità, zero ricostruzione, corruzione.
Venuto per visitare una città bella ha dovuto assistere al persistere di macerie materiali e morali che mettono in ombra la bellezza, che si avverte inespressa. Sin troppo evidenti i ritardi della ricostruzione, spaventosa da accettare la mancanza di un piano di ricostruzione condiviso attraverso il quale i visitatori, oltre che gli aquilani, possano inquadrare un futuro possibile della città e decidere se continuare ad amarla o allontanarsene.
Dopo l'immediata indignazione e la facile attribuzione di responsabilità, con allegati accidenti ai politici più antipatici, anche il visitatore sprovveduto si rende conto che la situazione è più complessa: è vero che errori vengono attribuiti a tutti, politici e funzionari, centrali o periferici, agli stessi cittadini per alcuni versi, è anche vero che in tanti hanno cercato di metterci mano, di dare una mano, ma senza esiti tangibili.
Dall'interno i cittadini hanno lottato, nei modi più diversi, nelle Assemblea, dalle carriole al Guerilla Gardening passando per i tantissimi comitati che hanno fatto ormai della resilienza la loro ragion d'essere: troppe cose non vanno, troppi gli interessi contrapposti, il muro di gomma delle istituzioni non aiuta, incapaci di dare la sia pur minima risposta ai cittadini.
E tanti hanno smesso di attendere da Stato o Comune e cominciano ormai a fare da sé, riscoprendo positività e il bisogno di socialità. L'ambiente migliora, e allora può capitare, a L'Aquila, come è capitato a me oggi, di entrare in un appartamento di amici giovanissimi e trovare, in salotto, una stampante 3D in funzione.
Mi hanno spiegato che stavano realizzando un prototipo per un ceramista di Castelli con cui eventualmente avviare, nella giornata di domani, un progetto.
Una piacevole sorpresa, mi ha fatto pensare alla Torino degli anni '70 dove in ogni abitazione c'era un fervore lavorativo che coinvolgeva anziani e bambini, un segno di speranza per questa città: sono tante le cose che non vanno ma l'attivismo consapevole di giovani che guardano al progetto, all'innovazione, al rischio può fare la differenza per restituire fiducia alla città.
In pratica ho visto in funzione una officina di artigianato digitale, l'ingegnere artigiano, l'imprenditore del domani. Ho cercato di approfondire, viene fuori un bel racconto di tanti giovani che realizzano innovazione, e puntano a creare un FABLAB, uno spazio in cui tutti possono (co)progettare e realizzare i loro oggetti, esattamente come li vogliono. Tutti, aperto a tutti i cittadini, anche a chi, come me, non sa nulla di diavolerie moderne e vuole realizzare suoi oggetti. Troverei lì consulenza e strumenti a disposizione.
Mi spiegano che un FABLAB è il figlio dell'industria da cui ha preso la precisione e la riproducibilità dei prodotti, il nipote dell'artigianato da cui ha preso la progettazione su misura, fratello dell'opensource con cui condivide la filosofia di scambiarsi progetti liberamente.
Ma non è solo una grande risorsa per chi il designer lo fa di professione, è soprattutto un'opportunità per chi vuol essere inventore per un giorno!
Stanno organizzandosi per avere uno spazio grande comune, accessibile a tutti, ove possa realizzarsi anche quella risocializzazione di cui a L'Aquila c'è tanto bisogno. Lo scorso mese di aprile hanno partecipato al Salone della Ricostruzione riscuotendo molto successo. Occorre dare fiducia ai giovani: può essere l'inizio della ricostruzione vera, sociale e materiale.