L'immagine di un Brasile compatto, tutto stretto intorno alla Nazionale, rischia questa volta di sfumare in un mito d'altri tempi. Come le cronache ci dicono nella loro arida asciuttezza, la società brasiliana è attualmente molto sfrangiata, e da diverse parti si contestano con imponenti manifestazioni di piazza le spese per i Mondiali 2014. L'impressione è che anche una certa idea di calcio sia mutata radicalmente in alcune frange della popolazione brasiliana, e le stesse pagine sportive sui quotidiani hanno perso molto della loro canonicità consuetudinaria, mostrando risvolti e critiche talvolta molto dure caratterizzati da un linguaggio aspro, che, ad essere sinceri, non ci saremmo aspettati nelle sezioni dedicate allo sport e, in special modo, ad un evento epocale come la World Cup "brasileira" 2014.

Mi riferisco in particolare all' articolo odierno apparso sul quotidiano brasiliano A Libertade (10/06/2014), in cui si discute di calcio, ma… Per parlare d'altro. Così, nell'articolo di Wilson Alves-Bezerra (critico molto corrosivo e polemico), si mettono in vetrina non tanto i giocatori, quanto alcuni scrittori e giornalisti come Nelson Rodrigues che, partendo ironicamente da un Brasile visto come una happy land, lo ha dapprima battezzato come "patria del calcio" e poi, con feroce ironia, della "stupidità" generalizzata.

Proseguendo, Wilson Alves-Bezerra si sofferma su Juan Pablo Villalobos, che ha scritto un romanzo i cui protagonisti sono un messicano ubriaco in un bar di Rio de Janeiro, un mezzo imbroglione e un altro cliente che si scambiano opinioni su una birra.

Alla fine il messicano paga le birre e racconta dell'impatto causato sul suo cuore "spezzato" dalla compagine brasiliana ai mondiali del '70. Diciamo tra parentesi che l'impatto è forte anche per i vecchi sportivi come me, perché su A Libertade campeggia una fotografia che mostra il gol vincente di Pelè ( che era marcato da quel mastino che era Burgnich), con Albertosi, steso lungo per terra nel vano tentativo di una impossibile parata.

Verso la fine dell'articolo, si assiste ad uno scarto inaspettato, con un rapido riferimento a Karl Marx e al suo 18 brumaio di Luigi Bonaparte. Citando Marx, Pablo Villalobos rammenta che la storia e i personaggi si ripetono, "prima" come tragedia e "poi" come farsa. Carlos Alberto ( allenatore del Brasile nel 1988) e la sua squadra sono infatti dipinti come ubriaconi inveterati che a malapena si reggono in piedi, incarnando così la dimensione "esemplare" dell' "idolo calcio", visto essenzialmente "come una farsa per fare soldi, sesso e alcol".

Bella storia. Sarà soltanto un'impressione, ma ho idea che i Campionasti del Mondo in Brasile di quest'anno saranno molto diversi da quelli a cui abbiamo assistito finora…