Il 14 luglio 1789 i cittadini francesi assaltarono e conquistarono la fortezza della Bastiglia, allora adibita a carcere. Questo episodio, che nell'immaginario collettivo è il simbolo stesso della Rivoluzione Francese, in realtà è stato da sempre ingigantito dai libri di storia. Infatti i prigionieri detenuti nelle celle della Bastiglia erano solo sette, di cui cinque ladri comuni, e se si pensa che negli scontri morirono trentadue guardie, forse si avvertirebbe la necessità di riscrivere quelle pagine.

Si può disquisire quanto si vuole sulla reale portata di quello scontro, ma difficilmente si potrà negarne la portata simbolica e il suo contributo, soprattutto in termini di entusiasmo più che militari, all'abbattimento dell'Ancien Regime.

A distanza di duecentoventicinque anni viene, però, da chiedersi se gli ideali propulsori di quella rivoluzione (uguaglianza, fraternità e libertà) siano entrati sostanzialmente nella vita di ciascuno di noi europei o se siano rimasti lettera morta.

Quello dell'uguaglianza è di fatto rimasto un ideale astratto, sebbene le carte costituzionali della maggior parte dei Paesi europei parlino di uguaglianza sostanziale differenziandola dall'uguaglianza formale, obbligando i governi a rimuovere quegli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono a tutti gli uomini di sentirsi uguali. Il fatto che poi i governi, in questi due secoli, abbiano solo timidamente e sporadicamente recepito questo concetto la dice lunga sia sull'assimilazione di quegli ideali rivoluzionari e illuministici sia sul rispetto che si ha delle costituzioni.

Le statistiche in ogni campo del welfare infatti ci restituiscono un'idea di Europa in cui, ancora nel 2014, il reddito di un individuo è un discrimine che ne può decidere la vita e la morte.

La fraternità, concetto mutuato da una tradizione cristiano-cattolica alla quale la Rivoluzione francese sembrava in parte estranea, nonostante i ripetuti appelli proprio delle autorità religiose di tutti i credi si è vista confinare in episodiche manifestazioni di solidarietà che non risolvono il problema della disuguaglianza e della comunità di intenti e interessi.

Il concetto di bene comune, figlio della fratellanza, è stato di recente ripreso come mero slogan politico a cui, ad oggi, non sembrano seguire azioni incisive.

Quello della libertà è stato l'ideale forse calpestato con maggiore energia nel corso di questi due secoli. E non c'è bisogno di richiamare il primo Novecento con i suoi assolutismi.

Ancor oggi la libertà personale degli individui subisce degli attentati che non possono essere derubricati come una semplice e accettabile delimitazione della libertà di una persona per tutelare le libertà altrui. I diritti, che sono delle libertà positive secondo la definizione costituzionale, vengono di giorno in giorno sacrificati in nome di un sistema di società che pone in sommo l'ideale del profitto e del guadagno. Un grande fratello di orwelliana memoria sembra essere al corrente di tutte le nostre azioni e sembra indirizzarle verso il volere del capitalismo, un volere fatto di consumo inconsapevole e continuo. Come se non bastasse la libertà è stata negli anni utilizzata finanche per giustificare sanguinosi conflitti che probabilmente sono iniziati (e portati al termine?) per altri, meno nobili, motivi. Non so se è questa l'idea di Europa che avevano quegli uomini e quelle donne che duecentoventicinque anni fa si apprestavano a fare la Storia.