Ricorre oggi l'anniversario di una data che è già entrata nei libri di storia: 11 settembre 2001, il giorno in cui decine di migliaia di persone persero la vita a causa del più violento attentato terroristico che si ricordi. A distanza di tredici anni da quel giorno, così tremendo da sembrare irreale, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha commemorato presso la Casa Bianca la strage delle Torri Gemelle, accompagnato dalla moglie Michelle e dal vicepresidente Joe Biden. Il presidente e tutti i presenti hanno osservato un minuto di silenzio, condiviso con la folla radunatasi a Ground Zero, la spianata dove sorgevano le due Torri abbattute tredici anni fa.
Obama nel suo intervento al Pentagono in occasione della cerimonia di commemorazione ha pronunciato parole di speranza e fiducia nel proprio Paese: "Non importa cosa succede lungo la nostra strada, l'America ne verrà fuori sempre più forte."
Il 29 settembre 2001 fu Oriana Fallaci a pronunciarsi in merito agli attentati dalle colonne del Corriere della Sera, con un articolo intitolato "La rabbia e l'orgoglio". La Fallaci, nel corso di questo lungo sfogo, espresse come Obama una grande ammirazione per la nazione americana e per l'unità dimostrata in seguito alla tragedia, secondo lei impensabile in Italia. La giornalista italiana non era certo famosa per la sua mitezza, e sul Corriere non esitò a scagliarsi contro la "Crociata alla rovescia", come la chiama lei, accusando di cecità gli Stati occidentali e i loro politici, che per paura di essere tacciati di razzismo e in nome di un'idea distorta di tolleranza non si schieravano apertamente contro il terrorismo, a fianco dell'America.
Le parole della Fallaci furono dure, durissime, e indigeribili per i fanatici del "politically correct" imperante. Chi oggi oserebbe scrivere su uno dei più importanti quotidiani nazionali che la cultura occidentale è innegabilmente, addirittura oggettivamente, superiore a quella islamica? Chi penserebbe di poter dire "a me dà fastidio perfino parlare di due culture: metterle sullo stesso piano"?
La Fallaci poteva permettersi simili opinioni e anche esprimerle pubblicamente (attirandosi peraltro numerose antipatie), un lusso che oggi non è più concesso a nessuno, a meno di accettare di essere esposti alla gogna. Se una condanna dell'Islam nella sua integrità non può essere condivisa (e nemmeno la Fallaci arriva a tanto), è comunque doveroso chiamare il Male con il suo nome, come lei non ha esitato a fare: il terrorismo di matrice islamica merita lo stesso sdegno che è stato riservato all'Inquisizione cattolica, ai campi di concentramento nazisti e ai gulag sovietici, e la Fallaci è equa nel non giustificare alcuna forma di aberrazione.
Sarebbe interessante sapere cosa direbbe la Fallaci ora, quando a distanza di tredici anni dall'attentato che colpì il cuore dell'Occidente, in paesi che ci piace considerare lontani imperversa una nuova guerra santa, una jihad sanguinosa.
Quanto ci sembrano scandalose le parole della Fallaci, ora che il tempo ha stemperato lo sdegno per gli attentati dell'11 settembre e la ferocia degli jihadisti infetta luoghi quasi sconosciuti e miete vittime delle maggior parte delle quali nessuno di noi conosce il volto e il nome. Forse, in quest'era, occorrerebbe una voce scomoda come quella della Fallaci, che ci ricordi che quello che sta succedendo in Siria e Iraq ci riguarda, perché nessuna ingiustizia è mai abbastanza lontana da giustificare la nostra indifferenza.