Dopo l'attentato a Copenaghen, l'Italia si espone in prima persona come guida di una prossima operazione sul campo per fermare l'avanzata terroristica.
L'Is a ciò risponde con una minaccia nei confronti della capitale ed agghindando il nostro ministro Gentiloni con un'uniforme da crociato.
Ma come siamo giunti a tutto ciò? Cerchiamo, per quanto possibile, di riordinare i fatti.
Negli ultimi mesi del 2010 vede la luce il fenomeno della Primavera Araba, diffusosi in varia intensità in tutto il nord Africa e vicino Medio Oriente. Gli stati che maggiormente vennero colpiti da queste agitazioni popolari furono: Egitto, Libia, Tunisia, Algeria, Marocco, Yemen, Oman, Kwait, Siria ed Iraq. In molti di questi le proteste si sedarono o attraverso la sostituzione del primo ministro o con la morte e quindi sostituzione del capo dello stato, come accadde in Marocco ed Egitto.
Ciò non accadde però né in Siria, dove tutt'ora la guerra civile continua, né in
Libia dove la morte del dittatore
Gheddafi non portò alla creazione di uno stato democratico libero ma promosse
l'anarchia che ancora ad oggi dilaga sul territorio.
Il problema principale della Libia, che venne dopo la morte del dittatore e la conseguente vittoria del Consiglio Nazionale, fu un intoppo nel processo di state-building che dopo più di due anni non si è ancora completato. Ciò nella pratica comporta nella carta la nascita della repubblica parlamentare in Libia, ma una mancata corrispondenza di ciò nelle realtà locali, che ad oggi sono scenario di continui scontri tra piccole fazioni anche di ispirazione islamica. Questo è il motivo per cui la vecchia ''scatola di sabbia'' rappresenta nel 2015 un terreno fertile per l'espansine dell'Is.
In un clima crescente di forte tensione e paura, a causa prima dell'attentato alla redazione del giornale parigino, poi all'attacco nella capitale danese di un centro jazz dove stata per svolgersi un seminario che avrebbe affrontato i temi del fondamentalismo islamico, la Libia potrebbe trasformarsi nel vecchio Iraq, dove si combatté la guerra contro i presunti mandanti dell'attacco alle torri gemelle.
Ci ritroviamo quindi nella medesima situazione di quattordici anni fa? Questo ad oggi non possiamo ancora dirlo con certezza, ma di sicuro la situazione è cambiata poiché il primo ''nemico'' di questa organizzazione è individuato nell'Europa nel suo complesso, data l'ubicazione degli attacchi.
La sicurezza della Libia è inoltre da considerarsi un punto fermo della politica estera italiana, data anche la prossimità delle coste, per poter combattere la lotta al terrorismo ed interrompere l'avanzata dello Stato Islamico.
Ma si può anche solo pensare di poter sconfiggere un organizzazione terroristica così complessa e davvero ben organizzata, di cui poco si conosce, attraverso una guerra tradizionale su un campo di battaglia che non è né il nostro, ma neanche il loro?
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