“Hanno vinto gli undicimila lavoratori delle piattaforme. La demagogia non paga”: così ha affermato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, in seguito ai risultati del Referendum di domenica 17 aprile. Gli italiani erano invitati ad esprimersi in merito all’estensione delle concessioni per la trivellazione entro 12 miglia dalle coste italiane, al fine della raccolta di gas metano e petrolio.

Eppure Renzi sembra essere uno dei pochi cittadini italiani ad essere assurdamente soddisfatto del risultato, mentre il non raggiungimento del quorum (con una partecipazione media del 31,2%) evidentemente non rappresenta una vittoria per nessuno.

Ha davvero vinto l'astensionismo?

Non lo è per chi ha votato “sì” o “no”, dal momento che lo sforzo di comprensione del quesito referendario e delle conseguenze implicate dai risultati delle elezioni rimangono un (in ogni caso importante) mero arricchimento personale, non condivisibile neanche in fila in attesa di votare, visto che di fila non ce n’è proprio stata.

Non lo è per gli ambientalisti, i quali speravano nel riconoscimento dell’importanza legata alla riconversione delle società italiane verso energie rinnovabili, oltre che verso la minimizzazione dei possibili rischi ambientali (i quali, lo ricordiamo, restano immensi a prescindere dalla quantità irrisoria o non di petrolio estratto dai fondali marini).

Non lo è per gli imprenditori e per i dirigenti di aziende energetiche, dal momento che dal risultato referendario emerge uno stato di confusione e disinteresse che non significa affatto sostegno o conferma per alcuna politica economica.

Non lo è per le tasche italiane, visto che il referendum è costato 300 milioni di euro, utili, a questo punto, solo per generiche riflessioni sulle preferenze di poco di più di un quarto della popolazione.

Ma non lo è stato neanche per gli astensionisti per scelta, coloro che hanno seguito le assurde indicazioni di alcuni politici e hanno deciso di non andare a votare ad un plebiscito definito “bufala”. Perché costoro si sono fatti convincere contro il proprio stesso diritto e dovere di voto, abbindolati dalla facciata (perché solo tale era) politica del referendum.

In un clima d’indifferenza generale per la partecipazione politica, forse gli unici a non sentire l’amaro in bocca saranno gli astenuti per disinteresse, che magari nel pomeriggio del 17 aprile, mentre gli statisti sentenziavano già opinioni, erano ancora in coda sull’A8 per assistere all’inaugurazione del centro commerciale più grande d’Europa.

Resta il fatto che il disinteresse per la politica e le aule per le votazioni vuote non dovrebbero rappresentare una vittoria per nessuno.