Gero Grassi è uno dei personaggi più attivi e anche schietti nella Commissione d'Inchiesta sul caso Moro, il cui corpo è stato ritrovato il 9 maggio del 1978. Non a caso più di una volta sono emersi battibecchi e forme di mancanza di rispetto nei confronti di Grassi, perché osa chiedere ciò che non si dovrebbe chiedere, in una Commissione dove sono diversi i casi di persone ascoltateperchéinformate sui fatti e che spesso si sono perse nel canonico 'non ricordo' o che lì si sono presentate senza neanche prepararsi, affrontando il tutto con una superficialità sconvolgente come a dire "questa Commissione non serve a un fico secco".
Sulla utilità delle Commissioni parlamentari d'inchiesta vi sarebbe molto da dire, ma se per una volta vi è qualcuno, o più di qualcuno, che cerca di avvicinarsi a ciò che tutti hanno compreso ma che nessuno vuole riconoscere, a quella verità nascosta ma che è destinata a venire prima o poi fuori, ebbene queste persone vanno sostenute. Da anni seguo la vicenda del caso Moro e ben si è capito che le BR non hanno potuto fare tutto da sole. Probabilmente sono state semplicemente uno strumento e la copertura per quello che appare avvicinarsi più ad una sorta di 'strage di Stato' che altro, visto che non solo Moro ha perso la vita ma anche la sua scorta. La vicenda della Fiat 128 è a dir poco grave e questa gravità è ben emersa nella denuncia formulata da Grassi e depositata il giorno 11 maggio in Commissione.
Il mistero della FIAT 128
Il giorno 8 marzo del 1978 veniva rubata la Fiat 128 familiare bianca, lasciata in doppia fila, con le chiavi inserite. La targa della Fiat era stata asportata nel 1973 all'addetto militare dell'Ambasciata del Venezuela a Roma. Nella documentazione prodotta da Grassi si legge ancora che "Per quale motivo i terroristi hanno deciso di utilizzare una targa così inusuale, come quella corpo diplomatico?
Una targa che dà certamente nell’occhio rispetto ad una targa normale? Come fanno i terroristi a girare tranquillamente per giorni e giorni per tutta Italia, compiere manovre azzardate e pure parcheggiare in divieto, senza essere fermati o intercettati, considerato il fatto che la targa di vecchio tipo è rubata e da ritenersi abusiva, mentre quella di nuovo tipo è stata annullata.
Godono per caso di qualche immunità o lasciapassare?"
Si riportano diverse importanti testimonianze che affermanola certezza dell’identificazione dell’auto utilizzata dai terroristi con a bordo 4/5 persone, tra cui una donna, e con vestiario proprio di militari. A questo punto emergono delle ulteriori domande formulate nel documento presentato da Grassi e una considerazione ove si afferma senza mezze misure: "ll brigatista Mario Moretti dichiara di essersi recato da solo con la 128 CD in via del Forte Trionfale, di aver verificato la presenza della scorta di fronte a casa Moro, di aver dedotto che di li a poco Moro sarebbe uscito; quindi di essersi portato in Via Mario Fani ad aspettarli. Come ormai è ampiamente dimostrato e documentato la versione brigatista è falsa.
Trattasi di versione di comodo per nascondere verità inconfessabili, verosimilmente legate alla collaborazione con forze estranee alle Brigate Rosse."
Conclusioni
Grassi arriva poi alleconclusioni ponendo alcuni interrogativi, a cui la Commissione dovrà cercare di dare una risposta, e tra questi si segnalano:" come facevano i terroristi ad essere così sicuri che quella mattina l’auto di Moro sarebbe passata in Via Mario Fani? Erano sicuri perché godevano della complicità di forze che apparentemente dovevano proteggere Aldo Moro mentre in effetti parteciparono attivamente all’eccidio.(...) Perché gli agenti della scorta non dovevano sopravvivere all’agguato? Non dovevano raccontare la dinamica di quanto era successo ed in particolare che la Fiat 128 CD era un’auto ritenuta di “colleghi”.