L’articolo di Giorgio Carra: "Il Manifesto di Ventotene, un documento per l’Europa" (in Blasting News del1° ottobre 2016) che invita a leggere il documento nella sua veste integrale per valutarne l’attualità, giunge a proposito. Nel settimanale "Sette" del "Corriere della Sera" del 30 settembre 2016, a pag.122 un lettore, nella rubrica "Lettere al direttore", dopo avere lamentato l’esistenza di contrasti identitari all’interno dell’Unione Europea, scrive: "Contrasti che non possono essere conciliati da certi bla bla .In Italia si cerca di esorcizzarli col mantra di un richiamo ad un celebre documento, opera di un comunista troschista che preconizzava la nascita di un’Europa federale e l’abolizione dei confini nazionali solo in quanto finalizzati all’abbattimento del sistema capitalistico".

L’allusione ad Altiero Spinelli e al "Manifesto" da lui redatto (insieme a Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann, pubblicato da Eugenio Colorni) è evidente. Il superamento della società capitalista è oggetto della terza parte del "Manifesto", quasi ignorata dagli osservatori politici, su cui ci soffermeremo.

Il criterio direttivo dominante della riforma della società

Il "Manifesto" intende promuovere la ripresa del "processo storico contro la diseguaglianza e i privilegi sociali", realizzando una "rivoluzione europea socialista".Il modello di società vagheggiato dagli autori del documento è racchiuso in queste poche parole:"La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio".

Il documento propone "nazionalizzazioni su scala vastissima" per le imprese che superino determinati parametri quanto a grandezza del capitale investito e numero degli operai occupati. Il diritto di proprietà e il diritto di successione, come regolati nel passato "hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso ugualitario.....".

Dominante, nella nuova società, è la prevalenza della gestione pubblica dell'economia: è vero, peraltro, che il testo considera la statizzazione generale dell'economia come la "prima forma utopistica" vagheggiata dalla classe operaia,e che propone una riforma agraria che "aumenti enormemente il numero dei proprietari"; ma la società socialista prefigurata è quella in cui sono presenti nazionalizzazioni su scala vastissima.

In sintesi: sì alla proprietà privata, ma fortemente marginalizzata.

L’influenza del "Manifesto" nella formulazione dei principi fondamentali della Costituzioneè evidente nell'art. 42, che riconosce la proprietà privata ma la piega a limiti che ne assicurino la "funzione sociale", e nell'art. 43 che ne ammette l’espropriazione in casi determinati.

I criteri direttivi dell’Unione Europea:essacammina su binari diversi da quelli delineati dal "Manifesto". La tutela della libera concorrenza non ammette monopoli, né privati né pubblici. Non ci sono, perciò, "nazionalizzazioni su scala vastissima".

Conclusioni

La prefigurazione di un’Europa federale, come delineata dal volume, conserva piena validità.

L’Unione Europea, che non è uno Stato federale, ne rappresenta però i lineamenti, anche se sbiaditi. La lettura del "Manifesto" nella sua veste integrale, impone di separare i giudizi: la parte dedicata alla riforma della società va considerata solo come documento storico dal quale possono utilmente ricavarsi riflessioni e spunti, cosa ben diversa dal considerarlo una "spinta propulsiva" (Prendiamo in prestito una calzante espressione usata da un noto politico italiano a proposito di ben diverso evento).