“Certo la letteratura non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline ad una forte introversione, ad una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute.”
Forse sarebbe stato così che Italo Calvino avrebbe risposto se gli fosse stato chiesto cosa ne pensava del conferimento del premio Nobel per la Letteraturaad un cantautore americano che nel 1965, riuscì a modificare la visuale e il senso di ‘poesia’ che molte persone attribuivano alle cose.
O forse no, forse non sarebbe stato di quest’idea e magari la sua risposta sarebbe stata perfino incoerente con la citazione riportata sopra.
Tanto rumore per…
Tanto rumore suscitato per la giustezza o per meglio dire la ‘non’ giustezza esercitata nell'affidare questo premio. Principalmente perché valutato e considerato da tanti un premio al lavoro, alla carriera, alla fatica, alla costante applicazione per raggiungere.
Per raggiungere esattamente cosa, non si sa. Da quando in qua la letteratura ha a che fare con il lavoro, con la fatica, con la carriera? Per riprendere Calvino, la letteratura è il risultato di una necessità, necessità avvertita da chiunque non riesca a sopportare in silenzio “il mondo com’è”.
Fino a che punto è giusto, allora, basarsi sull’andatura di un progetto, di un lavoro, per giudicare se è appropriato o meno valorizzare il modo in cui una persona ha espresso quella necessità?
Dario Fo / Bob Dylan
Dario Fo ha decisamente lasciato un’impronta nella mente di tante persone che hanno scelto di condividere la sua ‘scontentezza’ per ciò che era e per ciò che è il mondo.
Da molti definito un combattente, combatteva per restituire a chiunque lo desiderasse, a prescindere dalla sua condizione sociale, intellettuale, politica e fisica, ciò che gli apparteneva: la vita racchiusa in ciò che lo circondava. Combatteva anche per non lasciare inespresso il suo malcontento per il modo in cui andavano le cose, lo denunciava, senza bisogno di armi politiche o tranelli, con ciò che il suo pensiero riusciva a trasmettere agli altri e a smascherare sulla realtà.
Bob Dylan forse non aveva obiettivi altrettanto nobili, o magari li aveva, ma non ha ritenuto di farli conoscere in modo ugualmente plateale. Magari la sua letteratura si rifletteva e nasceva da quella “forte introversione”, di cui parlava Calvino, riferendosi ad un’inclinazione umana che non tutti sanno espletare come vorrebbero.
In entrambi i casi, aldilà dei confini delimitati dalla società su ciò che un letterato debba o non debba fare, per poter essere considerato tale, superando queste convenzioni, restano due uomini.
Due uomini diversi, distinti e distanti sotto molti aspetti, eppure accomunati da una necessità che permise loro di creare, condividere e far pensare una parte di persone non disposte, come loro, a sopportare il mondo ‘com’è’ .