Dario Fo è il mistero buffo. I giovani lo hanno conosciuto per le sue esibizioni teatrali, per le sue apparizioni televisive e ai più, rimane impresso nella memoria il suo grammelot. Ma chi ha avuto l’onore e il privilegio di conoscerlo o incontrarlo più di una volta, parla di un uomo complesso e intrigante. In un incontro del 2005 raccontava di essere amareggiato per il clima che si respirava nel nostro paese, diceva di non vedere più lo slancio e la passione tipici della cultura italiana. Il suo stato d’animo era pieno di speranza, ma anche di disperazione.

Viveva i nostri tempi come un dramma collettivo, rivelava - in un’intervista radiofonica – di essere preoccupato per i giovani e la loro cultura, per i quali non c’era più attenzione. Ripeteva di non vedere più l’effervescenza di un tempo, anche i centri sociali avevano un calo di tono, malgrado alibi ne avessero, date le continue vessazioni dei poteri forti.

Dario Fo sembrava aver analizzato bene il mondo giovanile e dichiarava di non capire le loro riunioni malinconiche in discoteca, dove l’attività si completava nel chiacchiericcio e nel pettegolezzo. Era nostalgico, quando asseriva che fosse calato tantissimo l’interesse per il sociale e per l’intervento a sostegno dei meno fortunati. Ne aveva per tutti: viveva nel nord opulento, ma era angosciato dall'ottusa indifferenza per la cultura.

Era contrario alla gestione privata del teatro lirico italiano perché la riteneva una sterile vetrina per la borghesia lombarda.

Forse amava il pallone, era interista, ma era infastidito dal calcio moderno perché inquinato dal denaro. Sosteneva che a Milano consumare cifre esorbitanti per lo spettacolo sportivo per due squadre di una stessa città fosse una follia.

Aggiungeva che sarebbe bastato un decimo del denaro sprecato, per ridare vita a spazi teatrali e per foraggiare la ricerca e la cultura italiana. Era curiosa la teoria per la quale, la memoria collettiva e la coscienza collettiva, vanno di pari passo con la potenza sessuale. Era preoccupato perché vedeva il rischio che gli italiani diventassero impotenti. Chissà se avremo mai più un nobel libero di parlare anche di sesso?