Oggi più che mai la Serie A sembra richiamare al racconto biblico di Davide contro Golia. La crisi di alcune può rappresentare una ghiotta opportunità per altre, e così la mannaia del Ranking Uefaha permesso un ridimensionamento delle cosiddette “medio-piccole”. Ma quanto c’entrano la fortuna o la singola programmazione di queste società? E quando invece entrano in gioco altri fattori? Qual è il segreto del successo di queste ‘isole felici’ e perché lavorano così bene?
Risultati da nord a sud: le favole Chievo, Cagliari, Sassuolo
Il caso più emblematico dell’ultimo ventennio è quello del Chievo: un quartiere di Verona che è riuscito a scalare ogni categoria e milita in Serie A dal 2001/2002.
Una favola che dura da quasi vent’ anni consecutivi, ormai realtà conclamata. La società clivense genera oggi una fortuna di circa 43 mln di euro annui, con la soddisfazione di aver partecipato ai preliminari di Champions League e Coppa Uefa.I gialloblu puntano alla salvezza come ogni anno, e la ottengono con una certa tranquillità.
Stesso segreto del cagliari di Rastelli, un allenatore che è partito dalla Lega Pro, fresco di exploit da S.Siro, dove l’Inter di De Boer ha incassato il primo K.O. interno stagionale, finendo nell’ occhio del ciclone. La differenza potrebbe stare lì, in un ambiente sereno e meno ossessivo, dove si può lavorare senza essere condizionati dalla contestazione.
L’altra stella nascente porta i colori neroverdi del Sassuolo (il comune più piccolo ad ospitare la Serie A).
Una scalata prepotente quella degli emiliani, culminata con la qualificazione in Europa League della scorsa stagione. Qualificazione arricchita anche da ottimi risultati, perché l’accesso ai gironi ha portato bonus economici, esportazione e maggiore visibilità del marchio, e soprattutto gioie sul campo (il 3-0 rifilato all’Athletic Bilbao rappresenta il vero fiore all’ occhiello dell’intera gestione Squinzi).
Stati di proprietà
A testimonianza dell’ambizione e della mentalità innovativa di questi club non può che esserci un progetto per uno stadio di proprietà, la cui attuazione presenta non pochi problemi in Italia. La nuova frontiera è dettata da queste cittadelle, vere e proprie macchine da soldi aperte tutta la settimana e in grado di accogliere al proprio interno musei, ristoranti e altro ancora.
In Italia, oltre a Torino, possiamo trovare pochi esempi. A Reggio Emilia, l’ex Città del Tricolore -originariamente della Reggiana- divenne la nuovissima casa del neopromosso Sassuolo. Il club emiliano non detiene ancora la proprietà esclusiva dell’impianto: il Mapei Stadium è stato infatti acquisito dall’ omonimo gruppo, controllato dal presidenteGiorgio Squinzi. Infine la Dacia Arena di Udine, gioiellino di proprietà dell’Udinese, inaugurato quest’anno.
Vivai Italiani
In una Serie A sempre più esterofila, c’è chi ha saputo adottare filosofie intelligenti, tagliando monte ingaggi e dando nuova linfa alla Nazionale. Squadre che da sempre hanno avuto grande tradizione nel settore giovanile quali Juventus o Inter, cedono sempre più al fascino straniero.
Solo il Milan ha cambiato regime tra le big, lanciando Under 21 provenienti dalla Primavera. Fa lo stesso il Sassuolo, vera e propria vetrina bianconera, visti i tanti prestiti e scambi di futuri prospetti via Torino. Unica eccezione l’Udinese, che come il Napoli spesso non schiera in campo nemmeno un italiano.
In un calcio sempre così volubile e frenetico, a beneficiarne è il calcio di periferia, che con la propria inversione di tendenza ha fatto riscoprire agli appassionati quella parte più vera e forse dimenticata del calcio. Un’idea vincente, per un calcio più “umano” e alla portata di tutti, che ha la virtù di sapere aspettare mentre gode già dei propri frutti e studia per diventare grande. Largo alle matricole quindi, il cambiamento verrà da loro.