Mentre il secondo appuntamento di The Young Pope viene seguito da una media di più di cinquecentomila spettatori e il primo supera i due milioni nell’on demand, Paolo Sorrentino continua a dipingere in pennellate visionarie il profilo di un giovane Papa travagliato e pieno di contraddizioni ma non dimentica tutta la corte variopinta di avversari e alleati esitanti che circondano Pio XIII.

Gli intrighi si accrescono attorno alla figura dispotica del pontefice americano ma più dei giochi di potere, ciò che interessa lo sguardo irriverente di Sorrentino, ciò che ossessiona i suoi personaggi è strettamente legato alla ricerca di una spiritualità che balena con onestà nei momenti più inaspettati, senza false ipocrisie e voli pindarici.

Alla disperata ricerca di un segno

Il ritmo è ipnotico e le musiche conferiscono ancora più drammaticità alla terza e alla quarta puntata di The Young Pope. Potrebbe sembrare un Papa rockstar, il Pio XIII di Sorrentino e Jude Law: bello, irriverente, accentratore ed egocentrico, ha tutte le qualità per essere un artista, più che un capo di Stato. Non c’è diplomazia nella visione assoluta che Lenny Belardo mostra del suo ruolo e della religione e c’è qualcosa di istericamente artistico nel suo modo di porsi di fronte all’ordinaria amministrazione, di quello che è un governo non soltanto spirituale delle anime dei suoi fedeli.

Il dibattito intenso fra Lenny e il Cardinale Spencer o quello, delicato e intessuto di sottile tensione, con la giovane e vacillante Esther fanno trasparire con ancora più nettezza la fragilità di un personaggio che non può essere ridotto alla figura di un tiranno assetato di potere.

C’è sempre un’umanità ambivalente in tutti gli interpreti che si muovono sulla scena, una contraddizione che in Lenny Belardo si fa più aspra ma che sussiste in tutti. È la contraddizione fra la fede assoluta che dovrebbero custodire e i loro difetti, che li rendono fallibili, in un modo che potrebbe essere fatale, non soltanto per loro.

Richelieu contro il Re Sole

Sembra delinearsi con altrettanta nettezza quello che sarà il contrasto fra le due visioni inconciliabili del ruolo del pontefice, incarnate rispettivamente da Pio XIII e dal Cardinale Voiello. Quest’ultimo è uomo pragmatico, un amministratore disincantato che cerca di salvaguardare al meglio la sopravvivenza della sua Chiesa ma può assomigliare solo in parte a un Richelieu che trama nell’ombra.

Contraddittorio e passionale anche lui, è turbato non dalla sua mancanza di fede ma dalla consapevolezza che ogni sua azione va contro i dettami di quella stessa fede che ha giurato di servire.

Al netto delle prime quattro puntate è chiaro che Sorrentino stia muovendo i suoi personaggi sulla scena per mostrare da tante prospettive, frammentate e ugualmente profonde, l’approccio al concetto di divino in un contesto che non è semplicemente marcio ma complessato da troppi egoismi, così umani da stridere con la sacralità degli argomenti toccati. Un pontefice ossessionato dall’abbandono dei genitori, un gruppo di cardinali che peccano di superbia e avidità per mantenere il proprio potere, fedeli sbandati e abbandonati nel deserto dei loro dubbi, a questo quadro devastante si aggiunge una nuova variabile. Un santone, che ha radunato ingenui fedeli attorno alla sua figura, invoca l’attenzione stessa del pontefice. Sorrentino ha sicuramente ancora molto in serbo per gli spettatori.