Continua la serie Tv The Young Pope, già da taluni rinominata The House of Cards del Vaticano. Chi si aspettava di comprendere la ratio della serie o il messaggio che il premio Oscar sorrentino voleva dare, è rimasto alquanto deluso. La terza e quarta puntata, andate in onda il 28 u.s., sono apparse una grottesca saga degli intrighi alla corte papale, con tanto di ricatti, serviti su un piatto d’argento. C’è persino un tentativo, in verità banale, di scatenare uno scandalo sessuale ai danni del Papa, orchestrato dal Segretario di Stato. Ester, apparentemente donna pia, fervente cattolica, ricattata per una relazione con l’assistente del Papa, Valentine, diventa strumento del Cardinale Voiello e forse anche dello Spirito Santo.

L’immagine di lei che prega nuda, con al collo il rosario, e osserva ingenuamente voluttuosa il Papa, lascia basiti, non tanto per la connotazione di blasfemia che le si può inevitabilmente attribuire, quanto per il carattere inverosimile che ne scorgiamo. Che dire di un Papa, arrogante, egocentrico, narcisista, che somministra, con sguardo ammiccante, complimenti ad Ester e come se fosse un sovrano assoluto dichiara:” Io amo me stesso, più del prossimo mio, più del Signore!” Più che l’immagine di un giovane Papa, Sorrentino ci propina un Papa delirante. E ancora, che dire di Tonino Pettola, “lo grande”, pastore con le stigmate che “vede” la Madonna in una pecora ed esorta a pregare la Vergine Maria – pecora , gridando di essere il Messia?

Del Papa che sbuffa, mentre battezza o intrattiene il primo ministro della Groenlandia, dichiarando: “Lo so, sono molto bello!” Ma al di là del carattere sovversivo della serie, quello fa riflettere è il carattere conservatore di questo Papa. Un Papa che, contrariamente alle intenzioni dei suoi pentiti elettori che lo volevano ponte tra posizioni reazionarie e progressiste, si rivela intollerante verso l’omosessualità di gran parte del clero, rifiutandone persino il perdono per la colpa umana; un papa reazionario, che non fa prigionieri, che sferza con violenza verbale, che stride con il principio cristiano della misericordia.

Le scene scorrono lente, a volte monotone, lanciando a briglia sciolta una creatività selvaggia, che se nel Divo, in Youth e La grande bellezza, ha espresso in pieno una connotazione felliniana, in quest’ultima fatica ha consacrato Sorrentino ad una televisione volutamente scabrosa e strumentalmente indirizzata verso una sfrenata televisione mainstream.

I piani sono ribaltati, quello che per naturale inclinazione dovrebbe essere l’eroe, diventa l’antieroe; un uomo tormentato dal suo passato, il cui riscatto parte dall’esercizio coercitivo ed idiosincratico del potere temporale. Se l’obiettivo di Sorrentino è descrivere il clero, schernendolo e umanizzandolo, cercando di privarlo di quella infallibilità che nel corso dei secoli si è arrogato il diritto di pretendere, allora, forse, c’è riuscito! Quello che lascia perplessi è l’idea che offre del Capo della Chiesa. Un uomo arrogante, con traumi infantili irrisolti, pieno di contraddizioni, che non mostra la ben che minima sensibilità; un Papa che attua una strategia mirata al raggiungimento del suo solo obiettivo: riscattare se stesso, a costo di distruggere ciò che è stato costruito nei secoli dei secoli.

Ma quello che ha deluso di più è scoprire che Sorrentino ha smentito Sorrentino, sovvertendo quanto dichiarato a Cannes alla presentazione di Youth. Ci aspettavamo, come lui stesso aveva anticipato, non una serie incentrata sugli intrighi in Vaticano, ma un viaggio nel mondo interiore di un uomo fatto Papa, delle sue responsabilità e perché no delle sue debolezze. Ci aspettavamo che Sorrentino ci restituisse il profilo di un Papa, sì uomo, ma al tempo stesso capace di guidare la Chiesa verso una rinascita primordiale, pur nel conflitto tra esistenza di Dio e sua assenza, nella ricerca costante della fede.