È luogo comune pensare che la Scienza e chi ci lavora, i ricercatori, siano portatori esclusivi di verità indiscutibili e soluzioni ai grandi problemi dell'uomo. Alla base di quest'idea c'è la credenza che lo scienziato agisca in maniera libera, onesta ed indipendente, perseguendo un unico scopo: generare conoscenza.
Publish or perish
Se ciò poteva essere certo nel XVI secolo, quando Copernico descrisse le teorie eliocentriche, oggi la situazione è un po' cambiata. Spesso, a spingere i ricercatori ad agire, non è più l'amore per la scienza, ma pressioni di altro tipo.
Ad esempio, "publish or perish" (o pubblichi o sei morto), fenomeno diffuso in ambito accademico che ha indotto ad una nuova modalità di considerazione del ricercatore, non tanto basata sulla qualità del lavoro, ma sulla quantità degli articoli pubblicati.
Ciò induce molti studiosi a manipolare e falsificare i loro dati pur di ottenere pubblicazioni e avanzare nella carriera. Uno dei più recenti e scandalosi casi di falsificazione è quello della rivista americana "Journal of Biological Chemistry" che, secondo il sito "Retraction Watch", ad ottobre 2016 avrebbe ritirato 19 articoli, tutti dello stesso autore ed in un colpo solo, con l'accusa di aver manipolato alcune figure presenti nei lavori.
Queste vicende pongono un problema etico notevole, soprattutto se i dati rivelatisi falsi costituiscono un presupposto per sperimentazioni cliniche già avviate sui pazienti.
Fenomeni irripetibili
Un altro problema è la non riproducibilità degli esperimenti. La riproducibilità sperimentale, cardine del metodo scientifico galileiano, consiste nella possibilità di ripetere uno stesso esperimento in laboratori diversi fra loro, ottenendo sempre gli stessi risultati.
Un esempio è la vicenda dei ricercatori di Amgen, azienda americana di biotecnologie, che nel 2012 avrebbero dichiarato di essere riusciti a replicare soltanto 47 su 53 dei loro esperimenti riguardanti diversi studi di oncologia.
A differenza della falsificazione, la non riproducibilità è un tema più complesso e non sempre dipendente dalle cattive intenzioni degli studiosi.
Spesso i protocolli sperimentali descritti negli articoli pubblicati sono incompleti, e non permettono ad altri di replicare fedelmente le condizioni descritte. In altri casi, pur essendo chiari i protocolli, entrano in gioco le cosiddette "conoscenze tacite", ovvero competenze che non posso essere trasmesse, ma che si acquisiscono soltanto gradualmente con l'esperienza.
A ciò si aggiungono i grossi finanziamenti delle case farmaceutiche e i loro interessi, il mondo della Ricerca che diventa via via più competitivo e il bisogno di scoop delle riviste che si rifiutano di pubblicare i risultati negativi o poco interessanti. A far fronte ad alcuni di questi problemi potrebbe essere un efficace meccanismo di "peer review", sistema di revisione di un articolo scientifico da parte di esperti del campo, di cui si avvalgono le riviste scientifiche prima di pubblicare qualsiasi articolo, con lo scopo di mettere in evidenza errori, imprecisioni o incompletezze.
Ma ciò non può bastare.
Gli scienziati, dalla loro parte, dovrebbero riscoprire la deontologia professionale e tornare alla ricerca di conoscenze autentiche, con l'umiltà di ammettere pubblicamente i propri errori. Inoltre il ricercatore dovrebbe essere valutato non sulla quantità, bensì sulla qualità del proprio lavoro. Anche i colossi biotecnologici che finanziano la ricerca dovrebbero attuare controlli più stringenti su ciò che viene prodotto coi loro fondi, verificando che i ricercatori rispettino realmente le procedure che dichiarano di seguire. Queste sono solo alcune linee generali che il mondo della ricerca scientifica dovrebbe iniziare a considerare, se non vuole perdere la rilevanza di cui ha sempre goduto all'interno della società.