C'è un paradosso che attraversa il giornalismo italiano: mai come oggi l'informazione è centrale, necessaria, consumata in grandi quantità. Eppure, chi la produce viene pagato sempre meno, spesso in modo irregolare, senza garanzie e con compensi che fanno rabbrividire. Si è arrivati al punto in cui un articolo da 4000 battute può valere meno di una colazione al bar. In Sicilia, per esempio, un articolo per dei giornali cartacei viene pagato 3,10 euro, con ritenuta d’acconto del 22% a carico del collaboratore.
Giovani giornalisti tra sfruttamento ed iscrizione all'Odg
La precarietà non è una novità per chi fa il giornalista come mestiere, ma negli ultimi anni si è trasformata in una certezza. Le testate online proliferano, le richieste di contenuti aumentano, ma il mercato si è adattato al ribasso e gli operatori dell'informazione sono sempre più sfruttati. Per un giovane aspirante, poi, il percorso è fatto di collaborazioni sottopagate, pagamenti a mesi di distanza (quando arrivano), editori che si nascondono dietro l’alibi della visibilità. “Scrivi per farti conoscere”, dicono, ma, con la notorietà, non si pagano l’affitto e le bollette.
In molte realtà italiane, poi, si lavora praticamente in cambio di accreditamenti ad eventi, mostre o partite di sport vari.
Il tutto in nome dell’iscrizione a un albo, quello dei giornalisti pubblicisti o professionisti, che ormai ha perso il controllo della situazione. Ogni regione italiana ha fissato una cifra minima da guadagnare nei due anni necessari per iscriversi, ma spesso si tratta di somme irrisorie (in Sicilia, il famoso limite da raggiungere è pari a 1000 euro in due anni, 500 euro all'anno, meno di 50 euro al mese).
A rendere il quadro ancora più cupo, ci sono, poi, le agenzie di stampa che pagano i giornalisti in base alle righe scritte: si parte da un euro per cinque righe, un compenso ridicolo che costringe i collaboratori a scrivere in quantità piuttosto che in qualità. Di nuovi contratti con assunzioni non se ne vede nemmeno l’ombra: il mondo del giornalismo italiano è un far west in cui il lavoro stabile sembra ormai un miraggio, almeno che non si vinca un concorso alla Rai (molto complicato, anche se non impossibile).
E non è solo un problema della Sicilia, ma un’emergenza nazionale, da Roma a Milano, fino alle regioni più piccole. Anche testate blasonate affrontano difficoltà economiche e gestionali e si affidano sempre più a collaboratori esterni, sottopagati e privi di tutele, per coprire eventi e garantire il flusso continuo di contenuti. La retorica della passione, è la trappola perfetta. Il giornalismo, essendo una vocazione, viene considerato quasi un privilegio e non un lavoro vero e proprio. Il risultato? Un esercito di freelance che lavorano a cottimo, costretti a scrivere decine di pezzi al giorno per raccogliere somme irrisorie.
Il declino della qualità dell'informazione
Come si è arrivati a questo punto?
La crisi dell’editoria tradizionale, la concorrenza del digitale, il dominio degli algoritmi che premiano la quantità rispetto alla qualità sono tutti fattori che hanno contribuito a svilire il lavoro del giornalista. Le grandi testate, invece di investire sul talento, preferiscono esternalizzare, affidandosi a piattaforme che sfornano contenuti a basso costo.
Il problema è che un’informazione a basso costo genera una spirale pericolosa: se chi scrive viene pagato poco e male, la qualità del giornalismo si abbassa. Si privilegia la rapidità alla verifica delle fonti, si rincorrono i trend anziché le inchieste. In un contesto così degradato, a rimetterci non sono solo i professionisti dell'informazione, ma anche i lettori, che si trovano di fronte a notizie sempre più superficiali ed appiattite.
Quali soluzioni, allora? Serve una presa di coscienza collettiva. I giornalisti dovrebbero smettere di accettare compensi indegni e unirsi per pretendere diritti e tutele. Le testate dovrebbero essere obbligate a rispettare compensi minimi adeguati e pagamenti puntuali e i lettori dovrebbero capire che un buon giornalismo ha un costo e va sostenuto, anche economicamente.
Se il giornalismo continua a valere meno di un caffè, ci ritroveremo sempre di più con un’informazione scadente, povera, svuotata di ogni valore. E in una società che vive di notizie, questo non è solo un problema di categoria, ma un rischio per tutta la democrazia.