In italia si vive talmente male che c'è chi per la disperazione si suicida. E' accaduto pochi giorni fa ad un giovane grafico di Udine. Nel frattempo perdura un coro retorico ed un relativo controcanto che gridano alle qualità o ai difetti dell'Italia, esaltandosi ad ogni minimo indicatore attestato sullo zero virgola: stucchevole propaganda politica.

Un Paese fermo da trent'anni

La faccenda è molto più seria.

In termini potenziali, l'Italia possiede enormi possibilità di sviluppo distribuibili in diversi settori: dai beni culturali al turismo, ma anche nella logistica e nei trasporti connessi alla portualità - più di 8.000 km di coste - oltre che nel sistema delle imprese artigianali e dell'agroalimentare. Eppure, in questi ambiti s'investe pochissimo: le imprese non sono incentivate da un serio piano tributario e burocratico; realizzare una filiera portuale lungo la fascia tirrenica e quella adriatica è una chimera per le pastoie inestricabili; il patrimonio artistico ed architettonico è in buona parte abbandonato; l'ambiente non è tutelato e protetto.

Anche dal mancato decollo di questi pochi settori dipende la stagnazione dell'economia italiana la quale invece di beneficiare di un effetto filiera dalla crescita anche di un solo comparto, subisce una costante erosione in termini di investimenti, occupazione e flussi ordinari, generando riduzione delle qualifiche e generale obsolescenza dei processi produttivi.

Una classe dirigente inadeguata

Chi decide le sorti dell'Italia? Non è l'Europa: è la nostra classe dirigente. Non mi riferisco solo al mondo della politica, ormai ampiamente screditato. Guardo alla dirigenza pubblica largamente impreparata, burocratizzata, pletorica, incapace di azione propositiva, di semplificazione delle procedure, di senso critico sul tema della produttività.

Quest'ultima è male interpretata: la dirigenza pubblica rivela di possedere questo concetto limitato al riflesso di procedure da essa stessa strutturate per non funzionare. Si tratta di un'efficienza presunta, una produttività "di carta" che ha invaso il governo nazionale e quello delle regioni, delle città e delle scuole, dei tribunali e delle università, annichilendo trasporti, lavori pubblici, sanità, ricerca.

Tutto diventa difficile, complesso, farraginoso

Persino nelle emergenze, come quella generata dai terremoti del centro Italia degli ultimi tempi, i sistemi dimostrano la loro incapacità di gestione: l'efficienza "di carta" divora l'efficacia dei risultati. Anche la protezione civile, i vigili del fuoco, le forze dell'ordine operano sotto la spinta di un impellente senso del dovere più che per un contesto di qualificata organizzazione: insomma, ci mettono il cuore.

Ma con la mente, sono bestemmie quotidiane.

La mancanza di prospettive porta al suicidio

Nulla funziona per come dovrebbe. La legislazione carente nei contenuti rispecchia la miseria morale oltre che formativa dei parlamentari. Applicare norme nate male diventa una giostra. Nel frattempo almeno un paio di generazioni hanno vissuto nella precarietà. E quella più giovane è ormai al collasso, preda di una crisi del lavoro intollerabile. Qualcuno si suicida. E per chi perde il lavoro a 40 o 50 anni, il dramma è egualmente esiziale: in bilico tra una "vitaccia" di stenti e l'idea di farla finita. La retorica delle Tasse non aiuta: perché destinare parte della produzione ad un Paese così mal governato? Per avvantaggiare i privilegiati?

Per alimentare altra detestabile corruzione? Per non ricevere servizi essenziali adeguati come nella sanità e nella giustizia? Tutti la pensano così.

In cosa eccelle l'Italia? Nel galleggiare

Non v'è dubbio che il tema è il modo completamente errato in cui la politica e la dirigenza pubblica amministrano le risorse economiche, le assegnano, le ripartiscono, le controllano. Se non si comincia da lì, con intelligenza, buon senso, competenza, questo Paese continuerà a galleggiare, l'arte nella quale eccelle di più. Come i poveri migranti sulle zattere.