Ormai è prassi quotidiana quella di una cronaca che spiattella notizie su inchieste che coinvolgono vertici politici regionali e locali, con qualche puntata anche a livello governativo: si veda il caso Siri che ha imperversato per settimane. Non c'è una geografia prevalente: dalla Calabria alla Lombardia è un florilegio di casi che da più di un ventennio irrompono a corrente alternata sugli organi di stampa e sui social. Solita indignazione. Solite conferenze stampa di procuratori e sostituti sempre più mediatici, come nell'ultima inchiesta a Legnano.

Solita retorica e solite intercettazioni. Solite parole e solite prediche. Nessuno che si decida a spiegare che la questione morale in Italia è espressione di un sistema amministrativo e legislativo che ha raggiunto il parossismo dell'assurdità e del caos. In questo calderone la corruzione è endemica, è un dato di sistema e non il corso politico invaso dai "cattivi" contro i quali agiscono i "buoni".

Un sistema cor-rotto

L'etimologia della parola indica nel "cuore rotto" il significato del termine: un lamento, una pena, un lutto. Ecco, il sistema si presenta come tale, prostrato e annichilito. Ma perchè? Come si è giunti a questo stato di cose che rende ormai impossibile formulare una seria speranza sul futuro di questo Paese?

La risposta è nella proliferazione di una legislazione elefantiaca e dell'apparato amministrativo che ne deriva. L'una e l'altro si tengono e si sostengono a vicenda senza fornire mai soluzioni idonee. Norme sovrabbondanti, intrecciate, variamente interpretabili da un modello di organizzazione pubblica sempre più inefficiente, soggetto ad arbitrio proprio dalla presenza di una legislazione che si attorciglia su se stessa.

La magistratura pesta l'acqua nel mortaio

Non si tratta di prendere in considerazione inchieste che dovrebbero rimarginare le ferite sociali inferte da gruppi (perchè ormai la corruzione si manifesta entro una relazione associativa) di criminali: queste non risolvono in alcun modo il problema ma offrono solo lo spaccato di una società incapace di reagire.

E non è più utile prendere le parti di questo o di quel magistrato o di questo o quel leader politico, gridare ai complotti o al giustizialismo. Tutto questo è uno stucchevole mestare nel torbido. Nel frattempo, sul caso del governatore della regione Calabria Oliverio interviene la Cassazione a rimettere in discussione l'impianto accusatorio, a ulteriore prova di un sistema ormai impazzito.

Le inascoltate parole di Massimo Cacciari

Da anni il filosofo e accademico italiano Massimo Cacciari prova a spiegare in ogni modo possibile che il problema italiano lo si deve affrontare sul lato delle riforme, ormai non più solo necessarie ma essenziali per la sopravvivenza di un regime democratico avanzato ed equilibrato.

E lo spiega da filosofo ma ancora di più da ex sindaco di una delle città più suggestive e più difficili da amministrare al mondo, Venezia, che egli ha lungamente guidato acquisendo sul campo una competenza sul sistema amministrativo molto profonda, riflesso del suo habitus mentale di persona riflessiva e portata alla speculazione intellettuale concreta, fenomenologica. Macchè, inascoltato: "vox clamantis in deserto".

La scia del populismo

I partiti sorti dopo la stagione di tangentopoli hanno dimostrato la pressoché incapacità a riformare un sistema al collasso, imputridito da montagne di carte e di chiacchiere consumate senza ritegno. La mancanza di un'azione correttiva profonda delle organizzazioni politiche ha condotto le stesse ad adagiarsi sull'esistente, a strutturare l'azione Politica sempre più verso l'ammiccamento popolare, dimenticando i guasti generali ed illudendo l'elettorato con colpi di teatro.

Cominciò Berlusconi, il quale aveva qualche idea sensata ma rimasta allo stato di proclami elettorali. Prodi non ebbe sufficiente carattere per restare nell'agone politico. Le stagioni di D'Alema e di Veltroni ebbero come risultato la medesima inconsistenza. I tentativi frammentari di Fini hanno avuto ancor meno fortuna, scivolando in basso come la parabola del loro impettito portavoce. Di Mario Monti rimarrà il ricordo delle sue vuote circonvoluzioni discorsive. Con Renzi si è aperta la fase più critica, quella più deludente, quella che ha condotto alla reazione veemente dell'opinione pubblica. L'attuale governo giallo-verde altro non è che il risultato prodotto dalla scadente classe politica dell'ultimo ventennio.

Peronismo all'italiana

Non si vede luce in fondo al tunnel, è ancora buio pesto. La ricerca spasmodica del consenso offre ai cittadini il pessimo spettacolo di una campagna elettorale perenne nella quale si sta sul pezzo, si produce ogni giorno una montagna di chiacchiere da imbonitori televisivi, con l'aggravante della proliferazione di vuoti slogan e micro-notizie in un'espansiva cross-medialità alimentata da utili sciocchi alla ricerca di proseliti e di insulti "social", una sorta di sfogo senza fine e senza scopo di una moltitudine ubriaca ineducata alla discussione costruttiva, bulli e bulle da stadio influenzate dalla logica della pernacchia. Sosteneva Winston Churchill: "È stato detto che la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora".

Ebbene, l'impressione è che in Italia si sia giunti ad un punto estremo di degenerazione del sistema democratico che è l'elemento produttivo della corruzione che invade le pagine della cronaca. In questo clima, il pericolo è rappresentato da una deriva peronista, una deriva sudamericana, quella che dovrebbe preoccupare di più l'opinione pubblica. La quale, al contrario, appare come il dissennato del vecchio detto: "quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito".