Diffondere una maldicenza sembra oggi un meccanismo doveroso, tribale e persecutorio, amplificato dagli algoritmi dei social media. Alfredo Mascheroni è un ragazzo che suo malgrado è divenuto protagonista di un'infame bufala diffamatoria.

Il suo nome e profilo FB hanno iniziato a circolare via Facebook e via Whatsapp. Nel messaggio, Alfredo Mascheroni veniva accusato di essere un pedofilo e, come da copione, proseguiva, invitando tutti i propri contatti a condividere la segnalazione per allertare quante più persone possibili. Nonostante fosse tutto falso e diverse testate online avessero raccontato la storia di Alfredo, confutando l'infame bufala, dopo giorni di minacce e insulti, il ragazzo si è trovato le vetrine del suo locale a Collecchio, in provincia di Parma, imbrattate da offensive scritte in vernice rossa.

Come una lettera scarlatta, un ragazzo innocente si sveglia in una mattina qualsiasi con la reputazione ormai distrutta, additato pedofilo senza prova alcuna.

Ma la colpa non è soltanto di chi ha inventato la crudele maldicenza, che speriamo venga scoperto e perseguito, ma anche di chi persiste a condividere notizie diffamatorie senza sprecarsi di verificare la veridicità della segnalazione. Come se diffondere una maldicenza facesse parte di un rito tribale e persecutorio doveroso, amplificato dalla viralità del web. Veleni iniettati per privare la vittima di ogni difesa.

Mia Martini, la prima vittima di fake news e Tiziana Cantone, la prima vittima del web

Il 12 maggio, ricorreva la morte di Mia Martini, accaduta ventidue anni fa; la prima vittima di fake news e poi di bullismo.

Dicevano portasse jella e nessuno osava pronunciare il suo nome. Nei primi anni ottanta, il crollo di un telone dal palco da cui doveva esibirsi e la tragica scomparsa di due musicisti della sua band in un incidente d'auto, furono le cause scatenanti del calvario di questa artista.

Un bullismo feroce e consapevole: quello di certi suoi colleghi, giornalisti, impresari che la evitavano come fosse contagiosa.

Nella memoria collettiva anche la straziante storia di Tiziana Cantone, la 31enne di Mugnano che alcuni mesi fa, si è suicidata dopo che alcuni suoi video hot erano divenuti virali sul web e la prima ad essere definita "vittima del web".

Una ragazza che aveva smesso di uscire di casa perché riconosciuta e derisa. Si è impiccata ad una porta, sola e rassegnata a una giustizia lenta e confusa che malgrado le svariate integrazioni alla denuncia, non iscriveva nessuno nel registro degli indagati.

Uccisa forse dalla bigotteria italiana, perché se una donna si diverte a fare sesso, è una prostituta, l'uomo "Uno buono".

Il cicaleccio morboso amplificato dal social

Sul social c'è questa voglia perversa di dare un giudizio su tutto, smaniosi di qualche secondo di protagonismo: chi fa battute, chi la butta sul ridere, chi insulta, chi offende, non fermandoci neanche di fronte alla morte, in questo perenne cicaleccio morboso, che oggi per colpa del web, ci tocca pure leggere.