Il nome Rambla è di orgine araba e significa "arenile", qualcosa di molto lontano da ciò che oggi è quel tratto di strada nel quale si è concentrato tutto l'odio dei jihadisti. Fino al 1492 il territorio che oggi chiamiamo Andalusia, etimologia riconducibile all'arabo Al-Andalus "terra dei vandali", era sotto emegonia araba. Egemonia che terminò non senza lunghi anni di guerra, quando la regina Isabella di Castiglia entrò vittoriosa a Granada con il crocifisso in mano completando così la Reconquista.

La Spagna come bersaglio

Nella visione del mondo jihadista la Spagna non è un bersaglio minore quindi, ma uno dei molti paesi ai quali farla pagare cara quella Reconquista.

Matura sempre con più prominenza l'idea che la radicalizzazione cresca tra i fantasmi coloniali, miti propagandistici, risentimento sociale e una ricerca disperata di identità nella quale identificarsi.

In Europa i musulmani sono presenti in duplice modalità: come cittadini degli Stati di appartenenza e come immigrati provenienti da Paesi islamici. Per questi ultimi le difficoltà di integrazione sono maggiori perché vivono in luoghi arginati dalla società ospitante, le cosiddette banlieue - le nostre periferie. Ad arruolarsi sono quasi sempre ragazzi molto giovani ai quali mancano probabilmente dei forti riferimenti sociali. Anche questa volta l'età dei jihadisti lascia stupefatti, i membri della cellula catalana avrebbero 17, 24, 22 e 18 anni.

Molti dei combattenti maghrebini che hanno preso parte all'attacco o che comunque sono ricercati, provengono da Ceuta e da Melilla, enclavi spagnoli in Marocco nelle quali instillare un pericoloso odio anti-coloniale.

L'identificazione sociale

L'identificazione sociale è il focus sul quale sembra soffermarsi maggiormente l'opinione pubblica che va oltre la mera cronaca.

Forse dietro il "si" cieco di giovani ragazzi all'apparenza innocui, risiede un grande lavoro di ingegneria sociale alimentato dal pensiero che l'intelletto e l'essenza di un essere umano siano universi plasmabili in poco tempo.

Forse la natura umana per non compiere questi gesti di estrema crudeltà deve sentirsi fortemente buona, o in mancanza di tale bontà può sentirsi invece plasmabile al punto da farsi uccidere uccidendo?

L'idea di martirio nel nome di un dio cieco seduce forse i più ingenui, o forse i meno informati, forse i più utopisti. Qualcuno diceva che "l'uomo non può vivere senza utopia". In effetti le utopie incantano, danno la forza per non pensare alla realtà. E ingannano tanto da incastrarci dentro un immaginario che non esiste, nei casi dei ragazzi combattenti, l'immaginario che non esiste è la promessa di paradiso in cambio di vite umane innocenti.

Un noto psichiatra italiano, Giovanni Jervis, così metteva su carta uno dei suoi pensieri più profondi e che rimane ancora oggi impresso nelle menti di chi lo ha avvicinato: "Il guaio delle utopie è evidente: stanno oltre l'orizzonte. Il loro inconveniente è l'eccessiva lontananza. Abbagliandoci con la seduzione delle loro geometrie esse ci impediscono di vedere qualcosa che è, in realtà, inquietante: la strada che dovremmo percorrere per arrivarci non è mai stata tracciata":