L'auspicio è che gli appelli dell'Italia delle ultime ore non cadano nel vuoto. Durante la riunione ministeriale di ieri presso la Lancaster House di Londra sul dossier libico a cui hanno partecipato anche i rappresentanti delle Nazioni Unite, Egitto, Emirati Arabi, libia e Stati Uniti, il ministro degli esteri Angelino Alfano ha ribadito la necessità di evitare mediazioni singole ma di dare pieno appoggio all'ambasciatore delle Nazioni Unite impegnato in Libia. L’invito alla cooperazione è arrivato alcune ore dopo anche da Sergio Mattarella in visita di stato a Malta dove non ha mancato di ricordare come la gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia non può essere affrontata da un solo paese, per l’appunto il nostro.

Cosa è stato deciso a Londra

Ghassan Salamé, nominato a fine giugno capo missione delle Nazioni Unite in Libia, ha inizialmente fornito ai partecipanti un resoconto dei colloqui intercorsi fra le due fazioni in conflitto, Hafter e Serraj. Tra le priorità individuate in maniera unanime dai partecipanti ci sono la necessità di apportare modifiche all’accordo di pace tra Tripoli e Tobruk in scadenza il prossimo 17 dicembre, l’adozione di una Costituzione e indire nuove elezioni. Riguardo a quest’ultime, il ministro degli esteri inglese Boris Johnson ha azzardato l’ipotesi di considerare realistico organizzare le elezioni lungo l’arco del 2018. L’incontro ha coinciso con il voto unanime del consiglio di sicurezza a New York per il rinnovo di un altro anno della missione di pace in Libia (UNSMIL).

Secondo Alfano solo una missione condivisa potrà scoraggiare chiunque cerchi di ottenere un vantaggio personale. Si legge facilmente tra le righe la malcelata critica ai partner europei che finora non hanno saputo trovare una quadra sulla crisi libica, costringendo l’Italia a cercare una spalle oltreoceano.

Gli americani sciolgono le riserve sulla missione

La missione di pace godrà anche del sostegno degli Stati Uniti, sebbene non sia ancora chiaro in che misura. Al termine della riunione, il segretario di stato americano Rex Tillerson ha affermato che gli sforzi dell’Onu per promuovere la pace in Libia avranno il pieno appoggio degli Stati Uniti.

Un passo avanti su cui l’Italia ci sperava ma non troppo, dopo l’esito negativo dell’incontro svoltosi ad aprile tra il premier Gentiloni e il presidente Donald Trump alla Casa Bianca. In quell’occasione Trump affermò di non veder alcun ruolo degli Stati Uniti in Libia, confermando la linea del disimpegno adottata da Obama nell’ultima parte della sua amministrazione, il quale aveva accusato i litigiosi europei di non aver saputo lavorare assieme gli americani al processo di transizione democratica in Libia dopo la caduta di Gheddafi.

Una sconfitta per l’Europa?

La riunione di Londra ci da prova, ancora una volta, dell’incapacità dell’Unione Europea di produrre una politica estera credibile ed efficace.

Non è credibile nella misura in cui le questioni più importanti vengono affrontate da singoli capi di stato europei che passano la maggior parte del tempo a discutere dei loro interessi nazionali. Lo abbiamo visto ancora di recente questa estate con il crescendo di tensioni tra Italia e Francia sulla gestione del processo di pace in Libia. Senza credibilità viene poi meno l’efficacia.

Fino ad ora la crisi libica è stata forse percepita come un problema prettamente italiano. Non tanto perché si tratta di una nostra ex colonia, ma perché essa tocca principalmente i nostri interessi nazionali (dal flusso incontrollato di migranti, alla minaccia dell’Isis agli interessi economici, nella fattispecie il petrolio).

Tuttavia soltanto una visione miope può convincerci che le sfide ai margini delle frontiere europee siano un problema dei soli paesi di quell’area. Sempre questa mattina Mattarella ha ricordato che l’Europa avrebbe potuto evitare molti più attentati se ci fosse collaborazione fra gli 007 dei paesi membri.