La notizia sta praticamente passando inosservata sui media italiani anche se quanto accaduto avviene a due passi dall’occhio del ciclone e ci offre già solo per questo buone ragioni per approfondirla. Nella mattinata di oggi,18 settembre, l’agenzia di stampa britannica Reuters è stata tra le prime a diffondere la notizia di una nuova esercitazione navale congiunta di Russia e Cina nel Pacifico, non molto distante dalla Corea del Nord.
Crescono le tensioni vicino alla penisola coreana
In questi giorni, la Russia è impegnata anche in un'altra maxi-esercitazione navale dall’altra parte del mondo, nelle acque del mar Baltico, di cui abbiamo già avuto modo di parlare nei giorni scorsi.
Nel giro di qualche ora, con l'annuncio che è praticamente passato in sordina, gli Stati Uniti hanno simulato un’operazione strategica sopra i cieli sudcoreani che è stata a ragione interpretata dai media come una risposta al nuovo missile lanciato venerdì scorso dalla Corea del Nord.
Mentre la tensione tra Corea del Nord e USA sembra ormai aver toccato il punto di non ritorno (cosa deve succedere ancor prima che si prendano a pugni?), che senso ha dunque ricordare che in quelle acque tempestose alcune navi e sottomarini cinesi e russi stanno giocando a battaglia navale? Alcune considerazioni a riguardo.
Gulliver e i Lillipuziani
Se è pur vero che in questo momento Kim sta facendo di tutto per farsi odiare dal resto del mondo, non è altrettanto vero l'antico adagio secondo cui il nemico del tuo nemico è per forza tuo amico.
Lo dimostrano le differenti strategie nei confronti della Corea del Nord che vedono Russia e Cina schierarsi in un modo, Stati Uniti inevitabilmente in un altro. Mentre, infatti, gli USA hanno scelto di tenere testa alle minacce del dittatore nordcoreano, rispondendo provocazione su provocazione, le due potenze asiatiche hanno preferito non attirare troppo l’attenzione del loro storico alleato optando per un approccio più soft e diplomatico.
Queste scelte sono presto spiegate.
A dispetto del disimpegno internazionale proclamato da Trump in campagna elettorale (pareva che dovesse smantellare la Nato, finché non ha imparato a cosa servisse veramente), gli Stati Uniti non possono permettersi di lasciare oltreoceano un vuoto di potere che presto verrebbe occupato da altri competitor.
Lo abbiamo visto quando Obama ha provato a ritirare le truppe dall’Afghanistan e dall’Iraq o con le primavere arabe in generale. Ma il vero problema sono le alleanze strategiche stipulate dagli americani e sparse in tutto il mondo, costruite e intessute al duro prezzo di vedere tali avamposti cronicamente bisognosi del supporto "Made in USA". E questo lo vediamo bene nella crisi coreana, dove gli americani temono certo per la loro incolumità, ma soprattutto per quella dei loro alleati. Chi sarebbe disposto a porsi sotto l'ombrello americano se questo risultasse un colabrodo?
In un qual senso gli Stati Uniti sono prigionieri di uno schema comportamentale che tuttavia non si sono mai sforzati di provare a cambiare.
Questo perché alla fin fine è così che hanno mantenuto fino ad oggi la loro supremazia. Poiché il modus operandi degli Stati Uniti è ben conosciuto dai suoi tradizionali avversari, questi ultimi sanno che gli americani non mancheranno di approfittarsi (e già lo stanno facendo) della crisi coreana per rafforzare la loro presenza nel Pacifico.
E qui si inseriscono le manovre nautiche di Cina e Russia atte a rivendicare la propria capacità e potenza navale. Un messaggio che per un verso è indirizzato al dittatore Kim, ricordandogli che nessuno dei suoi vicini di casa è disposto a concedergli dello spazio al di fuori dei suoi confini territoriali. Al contempo la Cina e la Russia guardano con occhi di sfida gli Stati Uniti, che non possono considerare il Pacifico il loro “mare nostrum”.