Del pareggio con la Svezia ne parleranno in tanti e fino alla noia, ma questa, in realtà, è la sconfitta di un intero sistema.
Il calcio per gli italiani non è solo un gioco, il calcio per molti è la ragione che sorregge lo status quo, questa situazione ora è stata stravolta. Forse verrà finalmente sovvertito quel panem et circenses che da mezzo secolo obnubila le menti del popolo italiano.
I giochi gladiatori servivano agli imperatori romani per distogliere la plebe e la borghesia dall'aumento delle tasse e dalle molte problematiche che affliggevano l'impero, ora che questa distrazione verrà meno, almeno in parte chissà, e forse qualcuno userà il tempo "libero" per pensare.
Del pareggio/sconfitta non c'è molto da dire, una squadra squallida che, vista la storia, non avrebbe dovuto arrivare a giocarsi il passaggio al mondiale in queste condizioni. C'è dell'altro.
Un allenatore che non rilascia dichiarazioni è l'emblema di una squadra priva d'identità.
Lasciata allo sbando e all'iniziativa, quando presente, del singolo. L'esperienza di Insigne e De Rossi a scaldare la sedia, El Shaarawy a mezzo servizio, Darmian e Barzagli che giocano a pallamano. Solo qualche guizzo di Florenzi, cui la sveglia finalmente sembrava esser suonata in tempo, ha dato minimi brividi nella monotonia di un match annunciato come tragedia e che non ha deluso le aspettative.
Eppure potremmo avere dei benefici da questa grossa delusione.
Non per rifondare il calcio italiano come ha detto già qualcuno, ma per capire quali falle hanno consentito alla nostra corazzata di affondare.
Per prima cosa dobbiamo chiedere a noi stessi che popolo siamo diventati.
Fischiare l'inno nazionale degli avversari non ci fa onore.
Come bambini che non possono avere il giocattolo desiderato e urlano e piangono, sbattono i piedi e si dimenano.
Il giocattolo si è rotto e, forse, lo schianto ci farà aprire gli occhi.
La partita in sé è senza una vera storia. Nervosa e poco divertente, un lento scendere negli inferi per la gloria Azzurra e un rapido levarsi agli onori per gli svedesi che, increduli, hanno già vinto la loro battaglia.
Un calcio malato quello italiano.
Lo specchio di un intero Paese. Innesti e acquisti, la continua trasfusione di tanti campioni stranieri penalizza i giovani italiani, che perdono interesse o spariscono in squadrette che non li renderanno mai quello che avrebbero potuto essere.
Intanto paghiamo centinaia di milioni per quelli che sono nati e cresciuti altrove e che andranno di nuovo a dar lustro alle loro nazioni, dopo aver trovato fortuna, rispetto e grandi club qui nel Bel Paese.
Questo è il minuto zero.
Quello da cui partire per riorganizzare le idee, ma non solo quelle calcistiche, quelle di un'intera nazione che nello sport che ama vede riflesso il suo futuro.
Qualcuno potrebbe sostenere che, probabilmente, stiamo dando troppo significato ad una mera partita di calcio.
Eppure questa, per l'Italia che di calcio vive, è e deve essere una lezione di vita, un campanello d'allarme.
L'Italia che crea, che vince e sogna è lontana anni luce dal pallido fantasma che si aggira tra le rovine dell'impero che fu.
Ora resta a noi raccogliere il vessillo caduto nella polvere. Asciugare le lacrime e, senza paura, affrontare il domani che ci aspetta, in ogni ambito, orgogliosi e patriottici non solo sul campo di calcio.