Il Brancaccio è finito. Qualcuno tira un respiro di sollievo, qualcun altro parla di ennesima occasione perduta per la sinistra di ricondurre dentro un recinto unitario le sue diecimila anime disperse nel mare magnum della cosiddetta società civile, in una continua e inarrestabile diaspora.
Il Brancaccio è fallito probabilmente a causa delle ambiguità e della mancata esperienza dei suoi ispiratori, che da un lato predicavano la necessità di una lista radicale nella maniera di proporsi e nei programmi, dall'altra sono apparsi più presi dall'urgenza di comporre il mosaico di una lista unica che abbracciasse tutte le varie componenti della sinistra con la benedizione dei "civici", smentendo il sacro principio dell'assemblea sovrana.
Fatto sta che il duo Falcone-Monatanari, sommerso dalle critiche risentite di molti militanti, all'indomani di accordi presi a titolo quasi personale con Sinistra Italiana, Articolo Uno-Mdp e Possibile di Civati, appena pochi giorni prima dell'evento annulla l'assemblea del 18 Novembre a Roma. Un assemblea che avrebbe dovuto discutere il programma e la formazione della lista unica della sinistra e le annesse questioni di metodo democratico, compresi il giudizio sulla correttezza degli accordi presi con i partiti, certificando in questo modo la fine del Brancaccio, un percorso nato per riportare alla politica i molti senza partito, dando loro nuovi strumenti di democrazia partecipativa
Je So' Pazzo
L'uscita di scena del Brancaccio spalanca le porte a un manipolo di ragazzi in maggioranza ventenni, appartenenti allo storico centro sociale napoletano Ex OPG Je So Pazzo, che deve il suo nome alla vecchia sede dell'OPG (Ospedal Psichiatrico Giudiziario) in disuso, occupato da anni dal centro sociale, il quale lancia la sfida impossibile di candidarsi alle prossime elezioni, chiamando a raccolta tutti coloro, che maltrattati dalla crisi, sono esclusi da una rappresentanza istituzionale.
Je So Pazzo, nome evocativo per chi si pone al di fuori degli spartiti dettati dalla ragione politica dominante, è una realtà concreta e fattiva, molto presente sul territorio urbano partenopeo e partecipa attivamente alle lotte che vedono protagonisti lavoratori e precari, e al suo interno organizza attività culturali, corsi per stranieri, assistenza legale per gli extracomunitari ecc.
Je So Pazzo non è solo e negli anni ha consolidato forti legami con realtà affini sul territorio italiano, come Clash Citiy Workers, un collettivo di lavoratori e studenti disoccupati, creando una rete diffusa su tutto l'ambito nazionale. Il messaggio è semplice: nessuno ci rappresenta, per dare visibilità e rappresentanza alle istanze dei più deboli, dobbiamo accettare la sfida istituzionale, e una lista unita, che coaguli la realtà frammentata del mondo associativo e della sinistra è un'opportunità che non possiamo perdere.
Nessuna strategia entrista d'altri tempi, nessuna propedeutica del potere proletario, solo un'opportunità che si lega alla necessità e all'urgenza di porre i diritti dei ceti più svantaggiati come priorità per qualsiasi politica che voglia dirsi davvero di sinistra.
La Sinistra
Da quanto è dato capire al momento, la sinistra arriverà divisa alle prossime elezioni con due liste distinte, sempre ammesso che entrambe riescano a raccogliere le firme necessarie previste dalla nuova legge elettorale. La prima lista sarà con ogni probabilità capeggiata dal presidente del Senato Pietro Grasso, considerato da alcuni come il deus ex machina o per dirla con Vendola "un programma politico vivente". Faranno parte della compagine Si, Mdp e Possibile con eventuali successive aggregazioni di liste civiche, ancora nel limbo.
Nella lista dei "pazzi" dovrebbero convergere tutte quelle realtà di movimento, associazioni come Eurostop, partiti come il PCI e semplici cittadini che si riconoscono nei dieci punti essenziali del programma abbozzato da Je So Pazzo. Chi fosse interessato può ovviamente consultare il loro sito. Il problema però secondo alcuni non sta tanto nei contenuti, sebbene Je so Pazzo abbia dei contenuti palesemente più radicali della prima lista, ma nel fatto stesso che la sinistra si presenti divisa alle prossime elezioni, perseverando nel vecchio vizio del frazionismo e delle discriminanti identitarie, all'origine dei quali ci sarebbero convenienze particolari e rancori mai sopiti. Al di là delle intrepretazioni personali la cosa interessante sta nel significato che i due schieramenti attribuiscono a una lista di sinistra in questo preciso contesto storico/politico.
Per i primi, capitanati da Grasso, è prioritaria un'aggregazione la più vasta possibile di forze che prescinda dalle differenze di culture e di programma, allo scopo di garantire una rappresentanza certa e corposa alla sinistra, che non sia di pura testimonianza, rimandando al dopo elezioni la costruzione di un percorso comune. Insomma realisticamente parlando "fare con quello che c'è", lasciando perdere la sinistra dei sogni. Per i "pazzi" invece è da ritenersi prioritaria la rappresentanza di categorie escluse da logiche di potere e il dare voce a chi non ha voce, esaltando il valore della sfida politica come rifiuto del meno peggio e come primo passo verso la costruzione di un vero progetto politico alternativo. I "pazzi" sembrano destare più entusiasmo.