In Honduras è stato proclamato lo stato d'assedio dalle 18 fino alle 6 del mattino per dieci giorni. Condanne fino a 12 anni per chiunque lo violi. Il candidato della sinistra, Nasralla si è visto risucchiare inesorabilmente un vantaggio che sembrava incolmabile, dai riconteggi apparsi alquanto creativi del Tribunale Supremo Elettorale, che lo vedevano in un primo tempo vincitore nei confronti di Hernadez, attuale presidente in carica. Si registrano proteste popolari in tutta la nazione soprattutto in alcune province come Tegucigalpa e San Pedro Sula.
All'indomani della deposizione forzata di Zelaya nel 2009, presidente democraticamente eletto, ad opera della Corte Suprema, in Honduras vige quella che viene chiamata "democratura", una forma di autoritarismo votato alla difesa degli interessi dei latifondisti e delle classi agiate all'interno di una cornice democratica apparentemente rispettosa delle ritualità di una democrazia parlamentare. Al posto di Zelaya, con la benedizione degli USA, si insedia Juan Orlando Hernandez, lo stesso che al momento, in seguito ai presunti brogli, si riconferma alla carica più alta della nazione. L'amministrazione USA secondo Zelaya, a suo tempo non avrebbe fatto nulla per impedire una così palese violazione dell'ordine costituito e sempre stando alle parole di Zelaya, dietro il golpe del 2009 ci sarebbe stato lo zampino dell'allora segretario di stato Hillary Clinton.
Non è un mistero che la dottrina Monroe sia ancora in pieno vigore e che gli USA considerino l'Honduras una sua appendice meridionale e parte del suo cortile di casa. Impossibile ignorare il fatto che gli americani abbiano in Honduras una delle loro più grandi basi militari in America Latina e che il paese centroaomericano rivesta un significato strategico fondamentale per gli equilibri nella regione.
Quello che accade oggi da quanto si vede sembra essere un nuovo capitolo di una vecchia storia
Solidarietà e silenzio
Ai messaggi di solidarietà al popolo honduregno che arrivano da molti stati dell'Amercia Latina, fa riscontro un silenzio tombale da parte dei principali media della regione e fino a questo momento anche dei media europei, che in precedenza invece erano stati molto solerti nel descrivere nel dettaglio la cronaca delle proteste della popolazione venezuelana nei confronti del "regime" di Maduro, offrendo anche un'abbondanza di dettagli raccapriccianti accompagnati da sottolineature di sdegno e riprovazione.
Ci si sarebbe aspettati lo stesso metro di misura con Hernandez, ma così non pare.
Con la sconfitta di Kirchner in Argentina e la deposizione di Dilma Rousseff in Brasile, l'America Latina sta attraversando una nuova fase di "normalizzazione", l'ennesima, che vede tornare il potere nelle mani di amministrazioni e blocchi sociali fedeli agli USA. Anomalie come quella honduregna, anche solo blandamente riformiste, non sono tollerate. Parlare di redistribuzione della ricchezza come Zelaya, appare sacrilego agli occhi degli americani, un discorso foriero di turbamenti intollerabili dell'ordine costituito.
Cuba rimane tuttora l'unica macchia in un continente quasi interamente a stelle e strisce.