"Leshanà habbà beJerushalaim”, l'anno prossimo a gerusalemme! Questo l'augurio scambiato tra gli ebrei la sera prima del Pesach, la Pasqua ebraica. In questo periodo la notizia dello status giuridico di Gerusalemme è di nuovo oggetto di discussione.
Il pasticcio del Giro d'Italia
Prima l’incomprensibile pasticcio degli organizzatori del Giro d’Italia che, nel tentativo di racimolare sovvenzionamenti, hanno fatto partire la gara ciclistica da Gerusalemme. Gerusalemme Ovest, era scritto (correttamente) nei primi comunicati. Poi, di fronte alla minaccia del governo di Netanyahu di ritirare il finanziamento concesso alla manifestazione, gli organizzatori hanno tolto in tutta fretta la dizione geografica, lasciando solo Gerusalemme.
Il che ha fatto infuriare i palestinesi, i quali dal 1967 vivono in una città in parte occupata militarmente da una potenza straniera. Ma, purtroppo per loro, non sono i palestinesi a sganciare la pecunia.
Si può obiettare che chi organizza eventi sportivi non deve per forza di cose conoscere le implicazioni politiche delle loro decisioni visto che lo sport dovrebbe essere al di sopra della politica. Ma quando mai lo è stato? Allorché questi luminari del pedale hanno deciso di iniziare un Giro d’Italia in un’area dove si concentrano da anni conflitti mai risolti, avrebbero dovuto (era loro dovere) informarsi sulla situazione, se non della regione, almeno della città in cui si svolgerà la manifestazione.
Invece no: con una leggerezza sconcertante si sono invischiati in una delle più complicate situazioni del mondo.
Il Jerusalem Embassy Act
A ravvivare il dibattito sullo status di Gerusalemme, ecco che è intervenuto anche Trump informando il mondo che l’ambasciata statunitense in Israele, attualmente a Tel Aviv, dovrebbe essere spostata a Gerusalemme.
Nulla di nuovo, in questo: il 23 ottobre 1995 il Congresso degli Stati Uniti sotto l’amministrazione Clinton approvò a schiacciante maggioranza (93 voti a favore e 5 contrari al Senato e 374 voti a favore e 37 contrari alla Camera) il Jerusalem Embassy Act of 1995 presentato dal senatore repubblicano Bob Dole assieme a 42 altri colleghi repubblicani e 32 democratici.
Il Jerusalem Embassy Act prevedeva lo spostamento dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme entro il 31 maggio 1999. Lo stesso documento riconosceva Gerusalemme come capitale di Israele eliminando la divisione tra Est e Ovest.
Perché la dichiarazione di Trump cambia le carte
Perché, dunque, la decisione di Trump è stata ripresa con tale enfasi dalla stampa internazionale? Anche se il Congresso ha approvato l’atto di trasferimento, questo non è mai stato firmato da alcun presidente e dal 1988 lo spostamento della sede diplomatica a Gerusalemme è stato, da allora, sempre posticipato di sei mesi in sei mesi. George W. Bush ha anche criticato il ruolo ricoperto dal Congresso specificamente al Jerusalem Embassy Act il cui voto “interferisce in modo non tollerabile sull’autorità costituzionale del Presidente”.
La dichiarazione di Trump, che già sta facendo parziale marcia indietro, segna un giro di boa nella politica statunitense perché è la prima volta che un presidente della nazione americana avalla il Jerusalem Embassy Act rischiando di incrinare i già tesi rapporti tra Israele e la Palestina.
Gerusalemme: una città internazionale
Giuridicamente le Nazioni Unite riconoscono sin dal 1947 Gerusalemme come zona internazionale amministrata dalle Nazioni Unite e, ancora oggi, non riconoscono alcuna capitale per Israele. La parte Est di Gerusalemme è considerata ancora oggi illegalmente occupata da Israele, il quale ha preso il controllo della città durante la Guerra del 1967.