Ed eccoci nuovamente di fronte al problema pensione che, in realtà, in questi anni né tantomeno nell'ultimo periodo, non è mai stato completamente trascurato o dimenticato. La novità riguarda, sfortunatamente, i giovani perché, chi comincia a lavorare oggi cesserà l'attività a 71 anni e due mesi: un'età in cui tutti dovrebbero già starsene a casa da un bel po' di anni dopo una vita intera dedicata al lavoro.
I dati Ocse
L'allarme dell'Ocse mette in evidenza la criticità che la popolazione italiana, quella giovanissima in modo particolare, si trova ad affrontare a seguito dell'aumento dell'età pensionabile.
Perché? Chi ha fatto oggi, o nello scorso 2016, il suo ingresso nel mondo del lavoro - all'età di 20 anni - vedrà terminare la sua vita lavorativa a 71 anni e due mesi, un'età che fa rientrare il Belpaese fra i Paesi Ocse più longevi per ciò che concerne, appunto, l'età pensionistica: si colloca, infatti, fra la Danimarca che prevede la pensione a 74 anni e l'Olanda a 72 anni. Una conseguenza, questa, della legge che adegua la pensione alle aspettative di vita della popolazione italiana certificate dai dati Istat.
Quali sono le conseguenze?
Innalzare l'età del pensionamento significa mandare in crisi la generazione successiva alla nostra. Ciò vuol dire che la situazione sarà ancora più critica per i figli di coloro che al giorno d'oggi hanno un'età compresa fra i 20 e i 30 anni.
D'altronde, questo è un contesto tutt'altro che attuale se si tiene conto del fatto che, a partire dal 2019, si andrà in pensione a 67 anni.
Tradotto in termini pratici, chi oggi intende - ad esempio - prendere la cattedra in qualsiasi disciplina deve, dopo aver superato i vari concorsi, attendere il pensionamento di quell'insegnante per poi prendere il suo posto.
Una rotazione che avverrà quando il nuovo docente avrà, più o meno, una quarantina d'anni?
E il ciclo si ripete senza sosta e, forse, senza possibilità di riuscire a placare un tale processo che condanna, quasi linearmente, vecchi e giovani, accomunati dalla volontà di uscire/entrare nel mondo lavorativo ad un'età ragionevole.
Per non parlare dei contratti a tempo determinato che rappresentano un motivo di insicurezza a tal punto da "togliere il sonno" perché non garantiscono l'effettiva continuità di quel determinato tipo di lavoro la cui durata massima è di 36 mesi e, i fortunati possono trarre vantaggio dagli eventuali rinnovi che fanno seguito a quel contratto.
Come si può rimediare?
è altrettanto vero, però, che l'impossibilità di accedere a quel lavoro, in taluni casi, è direttamente proporzionale al rifiuto di intraprendere un lavoro che presuppone l'acquisizione di competenze altre. Forse, in un contesto altamente critico come quello attuale, una buona prassi potrebbe essere quella di riportare in auge lavori ormai quasi scomparsi del tutto, per i motivi più svariati che finiscono, tuttavia, per essere ricondotti alle grandi opportunità introdotte dalle invenzioni e dalle innovazioni tecnologiche: sarti, maniscalchi, ciabattini.
Ma anche su questo punto, possono esserci contraddizioni e, anche questa riflessione può dare adito a vari commenti o proteste: perché prendersi una laurea in medica, in lettere o lingue, perché spendere soldi per libri, tasse d'iscrizione all'università, affitti per chi vive fuori dal paese natìo per poi intraprendere un'attività che non ha nulla a che vedere con il titolo acquisito con tanta fatica e sudore?
Non mi resta che augurare un grande in bocca sia a questa generazione, la mia, sia a quelle che verranno.