Ci sono storie che parlano di brave persone, di imprenditori che credono ancora nel valore del lavoro e che fanno di tutto pur di preservarlo quel lavoro. Ci sono persone che hanno a cuore i propri dipendenti, al punto di mettere le loro necessità davanti a tutto. Ci sono imprenditori che fanno scelte azzardate perché assegnano al valore della dignità e del rispetto la precedenza. Uno di questi è Augusto Antonucci, Poi ci sono storie di una giustizia che forse nella forma è più che impeccabile, ma nella sostanza lascia troppi dubbi e amarezze. Queste due storie si sono incrociate, con il risultato che un imprenditore che si è privato di tutto scegliendo deliberatamente di esporsi al rischio di passare per un evasore fiscale pur di non licenziare, è stato condannato.
Capiamo meglio cos'è successo.
Chi è Augusto Antonucci
Tutto è iniziato nel Friuli, nel 2009. In piena crisi economica tante aziende chiusero i battenti, e le difficoltà si ripercossero anche su quelle che avevano sempre goduto di stabilità. Una di queste era l'Acheo Srl di San Vito al Tagliamento, di proprietà di Augusto Antonucci, 79 anni. Antonucci non è un imprenditore qualunque. Era stato già presidente di Unindustria Pordenone, della Camera di commercio ed aveva anche ricoperto la carica di assessore regionale della giunta Illy. Nonostante una vita fatta di lavoro, all'improvviso si trovò senza liquidi e maturò una decisione ben precisa. Antonucci conosce il mondo del mercato, conosce le leggi, e conosce molto bene la fiscalità italiana.
Cosa ha deciso quindi?
Non paga le tasse e si priva di tutto per non licenziare nessuno
Antonucci, senza denaro liquido, si rivolse prima alle banche che, nonostante il suo eccellente curriculum, anche se per motivi nei quali non possiamo entrare, gli negarono un prestito. Si privò quindi del suo stesso stipendio e rinunciò ai dividendi che gli derivavano dalla sua azienda.
Non bastò. Ipotecò quindi la casa per ben 650.000 mila euro, ma nemmeno questo fu sufficiente. Il motivo? Le tasse. Erano quelle il vero cardine della questione. Troppe. Era il 2014, quando decise di non pagarle. Anche perché si trattava di ben 226.725,00 euro. I suoi dipendenti gli costavano un milione di euro al mese, ma il costo era gravato da imposte, versamenti, tasse, ritenute.
38 dipendenti non guadagnano tutti quei soldi, e quindi a pesare erano sempre e soltanto le tasse. La decisione, per lui, era presa.
I giudici avrebbero potuto salvarlo, c'erano dei precedenti
Immancabilmente, l'Agenzia delle Entrate è arrivata da lui a battere cassa. A nulla sono valse le difese dei suoi legali, che hanno difeso la sua scelta di commettere un reato, è vero, ma per una causa che si potrebbe definire nobile. O si salvava la società o si pagavano le tasse. Il giudice Piera Binotto, nei giorni scorsi, ha invece stabilito che Antonucci, colpevole di omesso versamento di ritenute, dovesse, a 79 anni, scontare una pena di reclusione di 10 mesi. Conta davvero che poi la pena, probabilmente per via dell'età, sia stata sospesa?
No, anche perché la condanna rimane, e ad Antonucci sono stati confiscati tutti i beni per pagare l'Agenzia delle entrate. La richiesta del pm Andrea Del Missier è stata dunque accolta. C'erano però dei precedenti di legge, e questo avrebbe dovuto contare qualcosa. I suoi avvocati Cristiano Biadene e Alessandro Alfano hanno infatti ricordato una precisa sentenza della Cassazione, una del Tribunale di Milano e il pronunciamento del medesimo Tribunale di Pordenone che stava giudicando il loro cliente. Il caso si riferiva a Diego Lorenzon, l'imprenditore di Cordovado che salvò la propria azienda di San Michele al Tagliamento posticipando il pagamento al Fisco. A nulla è servito. Sarà soddisfatta l'Agenzia delle Entrate, ma si può davvero dire che giustizia è stata fatta?
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