Il Salone del Libro di Torino quest’anno ha dedicato, per la prima volta, uno spazio al Lucca Comics & Games e al pianeta nerd e cosplayers che gli ruota attorno. L'undici maggio, infatti, sono stati presentati al Salone il poster e il claim ufficiale del prossimo festival del fumetto di Lucca che si terrà del 31 ottobre al 4 novembre 2018.

Quest'evento ha permesso a Repubblica di dedicare un articolo alla "rivincita nerd'', ovvero a quell'aura di popolarità che avrebbe investito la categoria geek da qualche tempo a questa parte. Non sono i soli ad averlo notato: è dal 2015 che Gucci veste i suoi modelli con occhiali da nerd, cosa che sottolinea in un certo senso il riconoscimento dell’importanza commerciale del fenomeno.

Sono comparse poi le montature da vista senza lenti graduate - che fanno piangere chi è miope davvero - e con l'uscita dei prodotti firmati Marvel e Walt Disney Studios il fenomeno ha preso la forma di una vera e propria moda e sopratutto è diventato una fonte di enormi profitti.

Rivincita?

In febbraio, dopo l’uscita di Black Panther, Lawrence Ware, professore di filosofia e co-direttore del Programma di Studi africani all'Oklahoma State University, ha scritto per il New York Times un articolo intitolato “’Black Panther’ and the Revenge of the Black Nerds“. Ware nell'articolo quasi ringrazia la Marvel perché gli ha permesso di essere un nerd (e di colore, particolare che gli sta profondamente a cuore) felice di essere vivo in questo momento, nel quale può assistere all'uscita di film come appunto Black Panther.

Nonostante si dichiari sospettoso nei confronti di una corporazione come Disney che usa figure come Black panther per commercializzare il mondo nerd e soprattut,o per ottenere dei profitti dalla "Black Renaissance'' che secondo lui caratterizza il ventunesimo secolo, non può che essere entusiasta del movimento culturale che stiamo vivendo.

Ware sostiene che il potere “democratizzante’’ dei social network abbia permesso a chi era prima più emarginato di farsi sentire. Ma è pertinente parlare di rivincita?

Anche in Ile of dogs, l’ultimo film di Wes Anderson, il protagonista Atari è sulla prima linea di combattimento ma chi impedisce materialmente l’uccisione di tutti i cani con il wasabi velenoso è il dodicenne nerd della scuola, di cui non sappiamo nemmeno il nome: mago del computer, armato di occhiali e comparso in sì e no cinque fotogrammi del film.

Il rapporto con la tecnologia è in parte una risposta al perché si stia parlando di rivincita nerd. In qualche modo dobbiamo giustificare due cose: primo, il nostro rapporto ossessivo con la tecnologia. Se il “nerd“ era tipicamente chi passava ore attaccato ad uno schermo, cosa lo differenzia dal passare ore su Instagram commentando il colore del bavaglino del figlio di Chiara Ferragni? Secondo, dobbiamo anche giustificare il bisogno delle figure geek che abbiamo a causa dell'uso quotidiano della tecnologia stessa. Per quanto intuitiva possa essere diventata, abbiamo ancora bisogno che ci sia qualcuno di specializzato per aggiustare lo schermo dell'iPhone quando si rompe.

Non è il momento in cui i geek si prendono la loro rivincita.

Piuttosto è il momento in cui ci rendiamo conto di quanto una “categoria'' considerata marginale e emarginata non esista in quanto tale. Ma piuttosto di rimetterla in discussione, come sarebbe logico e più giusto fare, la rendiamo una moda.

Etichette e categorie

Ora, l'essere politically correct - che dopotutto va altrettanto di moda come tutto il resto - impone di porsi la domanda sulla pertinenza e sulla giustizia dell'imposizione di una qualsiasi etichetta alle persone che abbiamo intorno. Tuttavia, andare davvero oltre questa forma di divisione non è facile. Per quanto possa non piacerci, le categorie sono uno dei modi che abbiamo per fare ordine tra le esperienze che viviamo ogni giorno, per le cose che pensiamo, per le cose che impariamo, per le persone che conosciamo.

Il meccanismo è lì e funziona in questo modo. Ma non sempre è totalmente negativo, e non sempre ingiusto. Ware, per esempio, si applica da solo ben due categorie: quella di nerd, e quella di "black". Il problema non sono le categorie in quanto tali.

Quello che piuttosto bisognerebbe porre in questione piuttosto è l'atteggiamento nei confronti delle diverse categorie che inevitabilmente ci troviamo a creare. Cosa giustifica il fatto di poter emarginare chi riconosciamo sotto un'etichetta specifica, che quest'ultima esista oltre al concetto oppure no?

A causa dei social network e di film stampo Avengers ci siamo resi conto che nerd può essere anche sinonimo di cool, e ci siamo ritrovati quindi di fronte al dilemma di essere un po' tutti nerd.

La magra consolazione è quella di non esserlo ai livelli di Sheldon Cooper. Ma rendere la categoria in questione una “moda'' per giustificare le nuove abitudini o passioni non permette di parlare di una rivincita, in questo caso, geek. Piuttosto, si può parlare di strumentalizzazione, e giustificare al contrario i sospetti di Lawrence Ware.