Il match amichevole tra Israele ed Argentina, previsto dalla nazionale sudamericana nell'ambito della preparazione agli imminenti Mondiali di Russia, si sarebbe dovuto disputare sabato 9 giugno. Inizialmente era stato programmato ad Haifa, nella parte nord del Paese, in un quartiere a forte presenza araba. É stato poi spostato a Gerusalemme in seguito alle dichiarazioni del ministro della cultura e dello sport israeliano Miri Regev. Per una partita così “prestigiosa’’, ha dichiarato il ministro, solo la capitale di Israele poteva essere il posto adatto.

Tuttavia, lo stadio di Gerusalemme si trova nel quartiere Malha, ovvero sul sito di un’antico villaggio palestinese distrutto durante la guerra. Dopo lo spostamento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, lo scorso 14 maggio, non era possibile che un gesto del genere passasse inosservato.

Le proteste

Immediatamente si sono sollevate le proteste palestinesi, in particolare da Jibril Rajoub, il presidente della Federcalcio Palestinese e del Comitato Olimpico della Palestina. Rajoub ha accusato Israele e il ministro Regev di utilizzare lo sport come uno strumento politico e di distorcere la natura della partita che sarebbe dovuta servire come un allenamento per l'Argentina in vista della competizione mondiale che comincerà a breve.

Rajoub ha giocato molto sull'immagine di Lionel Messi, la star della squadra argentina: ha infatti affermato che nel caso in cui i giocatori argentini avessero giocato a Gerusalemme, avrebbe chiesto ai palestinesi di bruciare magliette e poster del capitano dell'Albiceleste. Molti tifosi palestinesi si sono radunati anche a Barcellona davanti all’hotel dove soggiornano i giocatori argentini, per protestare: mostravano le magliette della squadra argentina e sopratutto di Messi "insanguinate" e poi bruciate.

L'annullamento

L’ambasciata israeliana a Buenos Aires ha comunicato l’annullamento della partita "a causa delle deplorevoli minacce rivolte a Messi e ai giocatori argentini". Il Ministro israeliano della Difesa, Avigdor Lieberman, ha comunicato su Twitter il suo disappunto riguardo al fatto che i giocatori argentini non avessero retto la pressione causata dalle figure che odiano Israele e il cui unico scopo è la distruzione dello Stato ebraico.

La notizia è stata poi confermata dal vicepresidente dell'Afa, la Federazione Calcistica dell'Argentina, Hugo Moyano. Secondo la stampa israeliana, gli argentini avrebbero ceduto all'odio e alle minacce: i media internazionali hanno parlato di “minacce terroristiche’’, forse distorcendo in parte le azioni di protesta dei palestinesi.

Ora, per quanto le minacce ai giocatori argentini e alle loro famiglie non siano giustificabili in nessun modo, bisogna tener conto della strumentalizzazione che Israele sta evidentemente attuando quando si tratta di eventi sportivi che si sono svolti o che avrebbero dovuto svolgersi questa primavera. Primo tra tutti, il Giro d'Italia. Dopo lo spostamento dell'ambasciata americana, si può dire che ogni scusa pare buona per sottolineare il fatto che Gerusalemme dovrebbe essere riconosciuta come capitale unica e indivisibile dello Stato d'Israele.

E non si può pretendere che la Palestina e i suoi abitanti, che di fatto stanno subendo un'invasione da parte di Israele, stiano in silenzio ad assistere allo spettacolo.

I conflitti

Non è la prima volta che la Federcalcio palestinese e quella israeliana si trovano in conflitto. "Il calcio israeliano fa parte dell'oppressiva occupazione israeliana e quindi complice nelle politiche razziste e di Apartheid", aveva dichiarato qualche anno fa Rajoub, chiedendo la sospensione dell'Ifa (la Federcalcio israeliana).

Di fatto, lo sviluppo della Pfa e l'allenamento dei suoi giocatori dipende dalle politiche di Israele e dalle decisioni della polizia israeliana. Il Post riporta le parole scritte sul New York Times da Iyad Abu Ghardqoud, giocatore di serie A della Cisgiordania e della Nazionale palestinese.

"Gioco a calcio a Gaza da quando ero un bambino. Sono cresciuto giocando nelle strade polverose del campo rifugiati di Bureij." Il giocatore continua dicendo che ama giocare come professionista, ma che la pratica di questo sport l'ha posto davanti ad una “realtà durissima''. A causa del fatto che i palestinesi non abbiano uno Stato, strettamente parlando, sta alla polizia israeliana decidere se Ghardqoud e i suoi compagni di squadra possono spostarsi da Gaza alla Cisgiordania per allenarsi e partecipare alle partite internazionali.

Non bisogna tuttavia dimenticare che Rajoub è considerato da molti il possibile successore di Abu Mazen e che lui stesso possa aver visto nella politica israeliana riguardo alla partita di calcio la possibilità di volgere questa strumentalizzazione a suo favore per la sua futura campagna politica.

Le conseguenze

La questione quindi si allarga dal conflitto tra Israele e Palestina a una più larga, riguardante l'uso dello sport a fini politici in generale. Il calcio si fa spesso “politico'': come nel 2012, quando il quarto di finale degli Europei che ha visto in campo Germania e Grecia è stato soprannominato il “derby dello spread''.

Ma alla fine, chi "soffre'' di questa storia non sono di sicuro i ministri. In primo luogo i giocatori, che si sono visti minacciati; e in secondo luogo i tifosi, che vedono una semplice partita trasformata in uno strumento politico, cosa che permette alle due parti di accusarsi a vicenda di terrorismo e strumentalizzazione.