In questo periodo di emergenza sanitaria e crisi economica, l’eventuale incapacità delle aziende di immaginare un potenziale sviluppo della professionalità delle proprie risorse umane potrebbe essere davvero fatale.
Per essere sempre in grado di interpretare e soddisfare le mutevoli esigenze del mercato, le aziende hanno l'obbligo fattuale, oltreché morale, di implementare quanto prima politiche di apprendimento continuo (Continuous Learning) volte ad ampliare (Upskilling) o a differenziare (Reskilling) le competenze delle proprie risorse umane.
Questo permetterebbe loro di abbracciare il cambiamento indotto e richiesto dalla Digital Transformation, capitalizzando tutti gli investimenti fatti fino a questo momento attraverso un riconoscimento effettivo dell'importanza della fiducia dei propri dipendenti nei processi di business e della loro relativa e specifica conoscenza della realtà in cui operano. Ancor prima della tecnologia, che deve comunque essere abilitante e non fine a sé stessa, sono soprattutto le persone a fare la differenza, ideando e realizzando concretamente quell'innovazione dei processi di cui le aziende italiane hanno un grande bisogno.
Il Fondo nuove competenze
Per fortuna, sebbene con ritardo rispetto a quanto sarebbe stato necessario, anche lo Stato italiano si sta muovendo in questa direzione, cercando di dare supporto economico a tutte quelle aziende, di ogni ordine e dimensione, intenzionate a valorizzare le competenze delle proprie persone e, quindi, a diventare sempre più innovative e competitive attraverso il loro contributo.
È di questi giorni, infatti, la notizia che il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, ha firmato il decreto attuativo per l'istituzione di un fondo ("Fondo nuove competenze") - del valore complessivo di 730 milioni di euro - che consentirà alle aziende di rimodulare temporaneamente l’orario di lavoro, al fine di far svolgere ai propri dipendenti attività di formazione e riqualificazione.
Le imprese dovranno presentare i propri progetti di ampliamento e differenziazione delle competenze entro il 31 dicembre 2020, prevedendo fino a un massimo di 250 ore di formazione per ciascun lavoratore.
Il tasso di partecipazione al Continuous Learning
Per capire la portata complessiva del fenomeno prima dell'esplosione dell'emergenza Covid-19, è opportuno prendere in considerazione una recente indagine di Eurostat sulla forza lavoro dell’Unione Europea (UE) di età compresa fra 25 e 64 anni, secondo la quale nel 2019 il tasso di partecipazione al Continuous Learning nell’UE era pari all’11,3% (0,2 punti percentuali al di sopra del tasso del 2018), contro un misero 8,1% per quanto concerne in particolare l'Italia (piazzatasi al 21° posto della classifica europea, insieme alla Repubblica Ceca, e con meno di un punto percentuale in più rispetto alla Lettonia!).
Insomma, sebbene si intraveda una flebile luce in fondo al tunnel, la strada da percorrere è ancora molto lunga e piuttosto tortuosa. Ben vengano iniziative come quella del Ministero del Lavoro, che indubbiamente favoriscono una mutua interazione fra pubblico e privato, ma attenzione alla burocrazia. Come è già stato ampiamente dimostrato in passato, l'incapacità di spendere tutti i fondi stanziati per una determinata iniziativa è il vero male del nostro paese. È una sorta di "amaro classico all'italiana" con cui gli amministratori pubblici dovrebbero fare molto più spesso i conti. Non basta più avere buone idee e una certa disponibilità economica per lanciarle. È indispensabile "sporcarsi le mani", preoccupandosi non solo di scrivere i progetti, cosa scontata per uno Stato che si rispetti, ma soprattutto di mettere in campo tutte le strategie utili a realizzarli concretamente.