Il 6 dicembre si sono tenute due contemporanee elezioni in altrettanti Stati, ovvero Venezuela e Romania: due realtà completamente diverse, non solo per i 9.400 chilometri che distanziano le rispettive capitali Caracas e Bucarest, e caratterizzate da uno scenario (precedente e successivo al voto) quasi agli antipodi, per quanto estremamente delicato in entrambi gli Stati

Nonostante ciò, entrambe le tornate elettorali hanno avuto un comune denominatore, ovvero la scarsissima partecipazione al voto: sia in Venezuela che in Romania, infatti, l'affluenza si è attestata intorno al 31%.

I motivi per la generale bassa risposta degli elettori sembrerebbero, però, profondamente differenti.

La discussa vittoria di Maduro

Partendo dal Venezuela, si votava per il rinnovo dell'Assemblea Nazionale, ovvero il massimo organo legislativo del Paese: oltre a questa funzione, era l'unica istituzione non assoggettata al controllo del presidente socialista Nicolás Maduro, in quanto la coalizione di opposizione MUD, capeggiata da Juan Guaidò, deteneva la maggioranza dei seggi e la utilizzava per far sentire la propria voce nell'ambito dell'amministrazione statale.

Infatti, da quando il successore di Chávez ha preso il potere nel 2013, il Venezuela è stato teatro di un progressivo accentramento di potere nelle mani del proprio leader, anche con misure altamente antidemocratiche, che, oltre alla dilagante crisi economica in corso da anni, hanno portato le opposizioni, e soprattutto il sopracitato Guaidò, a continue proteste ed addirittura a dichiararsi presidente "ad interim" del Paese: legittimato dalla Costituzione a reclamare il contestato "vuoto di potere" in quanto presidente dell'Assemblea Nazionale e riconosciuto a livello internazionale da vari Stati, tra i quali Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna, ha di fatto aperto una crisi politica a Caracas, che dura da ormai quasi due anni.

In una situazione così delicata, Maduro vedeva le elezioni legislative come un'occasione per accentrare ulteriormente il potere nelle proprie mani, mentre Guaidò non le riteneva una misura propedeutica al risolvimento della crisi in atto: per questo motivo, e per le pratiche discutibili e ben poco democratiche messe in atto dal leader socialista in preparazione al voto, 37 partiti facenti parte del MUD e dell'opposizione hanno deciso di boicottare le incombenti elezioni, non presentandosi e spingendo piuttosto per un referendum sul futuro della leadership del Paese.

Nonostante ciò, le elezioni si sono tenute, ed il PSUV, ovvero il partito di Maduro, ha ottenuto quasi il 69% dei seggi in palio, sfruttando la diserzione del voto praticata dagli elettori dell'opposizione: il 31% dell'affluenza, infatti, supera anche le più pessimistiche previsioni dei sondaggi politici, e di fatto consegna l'ultima roccaforte della democrazia nelle mani del leader socialista.

Incertezza politica a Bucarest

In Romania, invece, la situazione è ben diversa, e le elezioni avrebbero dovuto conferire maggiore stabilità politica ad un Paese caratterizzato da una forte crisi nella sua leadership: mentre il presidente della Repubblica Klaus Iohannis è in carica dal 2014, a partire da quell'anno il governo ha cambiato guida per dieci volte.

Dalle ultime elezioni parlamentari del 2016, si sono succeduti ben quattro Primi Ministri e, soprattutto, c'è stato un cambio di "colore" nella compagine di maggioranza. Inizialmente, questa era trainata dai socialisti euroscettici del PSD ma, dopo scandali legati alla corruzione, squilibri interni e riforme della giustizia al limite del discutibile, è passata nelle mani dei liberali europeisti di centrodestra del PNL.

Il Primo Ministro Ludovic Orban, comunque, a sua volta era stato sfiduciato, ma non si è dimesso a causa dell'emergenza di coronavirus, per fronteggiare la quale è stato riconfermato fino a queste elezioni.

Proprio la situazione critica della pandemia, insieme con il crescente disincanto nei confronti della politica causato delle instabilità degli ultimi anni, hanno portato la maggior parte degli elettori a disertare le urne: solo 1/3 degli aventi diritto ha partecipato al voto, e di questa bassa affluenza hanno beneficiato il PSD, risultato primo partito (31%) ma anche in calo di quasi 15 punti percentuali rispetto alle elezioni del 2016, e l'AUMR, formazione di estrema destra e profondamente antisistema, che entra per la prima volta in Parlamento

Scenari futuri

In Venezuela, la situazione è incandescente: mentre Maduro consolida sempre di più il proprio controllo sulle istituzioni grazie a queste elezioni, Guaidò riesce ad unire le opposizioni attorno alla richiesta di una consultazione referendaria maggiormente democratica e risolutiva, ritenendo la chiamata alle urne appena conclusa come una vera e propria farsa e consolidando il proprio ruolo come principale alternativa al leader socialista.

Ciononostante, la legittimazione giuridica di quest'ultimo potrebbe venir meno, in quanto cadrà il suo ruolo da Presidente dell'Assemblea Nazionale, ora che non ne rappresenta più la forza maggioritaria, e non avrà più appigli costituzionali per reclamare la Presidenza dello Stato. Intanto, la crisi economica nel Paese cresce sempre di più, e le violazioni dei diritti umani sono ormai sistematiche a livello praticamente universale.

In Romania, invece, nonostante il risultato incerto, si va verso ad una conferma di Orban come Primo Ministro: il partito centrista dell'USR, infatti, si è già dichiarato favorevole a dare il proprio supporto al PNL, che, in virtù del suo 25% e delle percentuali delle altre formazioni che lo supporteranno, avrà i numeri per poter chiedere a Iohannis, peraltro anche lui membro del PNL, di formare una coalizione di governo di centrodestra.

Appuntamento al 20 dicembre, quando verrà nominato il nuovo esecutivo, ma certo è che il potere politico di quest'ultimo, già fragile, si sia ulteriormente deteriorato.

Due scenari elettorali completamente diversi, ma accomunati da un solo vincitore: quel 69% di astenuti che, per ragioni diverse, non hanno esercitato il diritto di esprimere il proprio voto.