Sono ormai definitivi i risultati del primo turno delle elezioni amministrative 2021 del 3 e 4 ottobre, che hanno caratterizzato numerose città italiane, ed è interessante analizzare i tratti salienti di questo voto.

Nessuno ammette la sconfitta

Come da consolidata tradizione, a urne chiuse tutti i partiti fanno a gara a dichiarare pubblicamente che hanno vinto o, perlomeno non hanno perso. È un vezzo nazionale al quale non si fa più neanche caso.

Alle varie trasmissioni televisive che hanno commentato i primi risultati delle amministrative nella serata di lunedì, qualcuno ha detto "abbiamo perso", qualcuno ha ammesso, "ma siamo i più competitivi".

Insomma emerge la volontà della maggior parte dei partiti di "uscirne bene", di rivendicare un primato o un merito, anche contro l’evidenza dei numeri. In parziale controtendenza nelle ultime ore Matteo Salvini che ha ammesso la sconfitta del centrodestra nelle grandi città e ha fatto autocritica sulla scelta dei candidati.

Tre dati macroscopici

Ma cosa si può evincere, a caldo, dal voto che ha eletto i sindaci nei 1163 comuni? Almeno tre dati macroscopici:

  • 1. La vittoria al primo turno del candidato di centro sinistra in tre grandi città: Milano, Bologna e Napoli mentre Roma, Torino e Trieste vanno al ballottaggio
  • 2. La perdita di appeal dei partiti populisti
  • 3. La scarsa affluenza alle urne registrata

Per quanto riguarda il primo punto balzano all’occhio i risultati per nulla scontati di Bologna e Napoli dove Lepore e Manfredi, candidati di centro sinistra, hanno ottenuto percentuali, rispettivamente, del 62% e 63%, distanziando abissalmente i diretti competitors, e vincendo al primo turno.

Con qualche punto percentuale in meno il risultato di Sala a Milano (57%), anche se, in realtà, la sua rielezione non è mai stata in discussione: per Bernardo del centrodestra era piuttosto evidente che non ci sarebbe stata partita.

Riguardo a questo primo dato si può dire che gli elettori hanno premiato candidati conosciuti e dal profilo affidabile.

Giuseppe Sala è il sindaco di Milano uscente e patron di Expo 2015; Matteo Lepore ha un’esperienza di 10 anni come assessore comunale; Gaetano Manfredi è stato ministro dell’Università e Ricerca e rettore dell’Università Federico II di Napoli dal 2014 al 2020. Al contrario, i candidati usciti dal cilindro all’ultimo momento o illustri sconosciuti non hanno, in generale, avuto fortuna.

Per quanto riguarda il punto 2, la perdita di consenso, in diversa misura, di M5s e Lega sembrerebbe indicativa di un' inversione di tendenza dell’elettorato in buona parte inattesa. Il M5s in particolare, che per la verità già aveva dato segni di cedimento, ha subito un crollo in diverse città e non ha eletto nessun rappresentante nel consiglio comunale di Milano. Solo laddove si presenta in alleanza col Partito Democratico ha limitato i danni.

Astensionismo mai così alto

Ma il dato più rilevante sul quale occorrerà una riflessione non superficiale è l’astensione, mai a livelli così elevati: ha votato il 54,7% degli elettori, praticamente uno su due non si è recato ai seggi. È un aspetto sul quale i partiti glissano e che tendono a sottovalutare per la ragione che chi non vota non conta e non apporta né vantaggi né svantaggi.

Il dato dell’astensionismo è ancor più rilevante se si considera che, tradizionalmente, le elezioni amministrative registrano una maggiore affluenza delle politiche poiché si votano persone, in teoria, più vicine al territorio e ai bisogni della gente.

Nelle tre grandi città che hanno eletto i sindaci al primo turno la partecipazione è stata anche inferiore della media nazionale: a Milano e a Napoli la percentuale dei votanti è intorno al 47%, a Bologna è al 51%. Quali le cause? Se ne possono individuare almeno due tra le principali.

La prima si potrebbe chiamare “l’effetto Draghi”. L’attuale Presidente del Consiglio, che gode di un consenso trasversale da parte delle principali forze politiche (con l’eccezione di Fratelli d’Italia) e anche di una buona popolarità, nonché di prestigio a livello internazionale, non è di estrazione partitica ma è un tecnico prestato alla Politica, un uomo abituato a prendere decisioni e ad attuarle e non risponde ai potentati politici ma solo alla maggioranza che lo sostiene.

I partiti politici, in conseguenza, hanno perso in parte il ruolo che gli era proprio di portatori e mediatori di interessi e agli occhi della pubblica opinione non sembrano più così indispensabili.

Se a ciò si aggiunge che l’offerta politica che i partiti hanno saputo mettere sul piatto in questi ultimi anni non ha brillato per originalità e concretezza, la somma è presto fatta.

Una seconda causa si può individuare nella progressiva perdita di peso che ha caratterizzato in questi anni le amministrazioni locali, penalizzate da scelte politiche a livello centrale. In pratica i Comuni, privati di supporti finanziari adeguati e costretti a dibattersi tra vincoli e responsabilità, anche penali, sempre più limitanti, hanno perso la loro centralità sul territorio. Prova ne è il fatto che, in molti piccoli comuni, nessuno più vuol fare il sindaco o l’amministratore pubblico e alle elezioni si è talvolta faticato a presentare anche una sola lista di candidati.