In una società come la nostra, definita dal politicamente corretto, i personaggi pubblici, salvo rare eccezioni, si distinguono in due grandi categorie: da un lato coloro che rispettano il P.C. come un dogma di fede, per non incappare in "scivoloni" in grado di distruggere a volte intere carriere; dall'altro quelli che invece utilizzano le controversie come strumento di propaganda, per rendere la propria immagine virale e aumentare così la visibilità.

Dave Chappelle è una di quelle rare eccezioni, che pur essendo quasi sempre investito dalle polemiche non mira affatto alla visibilità, anzi la rifugge se non strettamente connessa al suo mestiere di comico e al contrario utilizza le controversie e gli argomenti scomodi per proporre al pubblico delle sane e spesso necessarie riflessioni.

La polemica sul gender

Dave Chappelle è senza alcun dubbio uno degli stand-up comedian più brillanti della sua generazione e moltissimi, soprattutto colleghi comici, lo indicano addirittura come il GOAT (Greatest Of All Time): il più grande di tutti, più grande perfino di monumenti veri e propri come Richard Pryor e George Carlin.

Dopo anni di assenza dai palchi importanti, netflix si è assicurata l’esclusiva di numerosi special registrati dal comico statunitense, implementando ulteriormente l’offerta di spettacoli di stand-up comedy presente sulla piattaforma; di fatto è anche merito della N più famosa del web e dei suoi 200 milioni di abbonati se questa forma d’arte di estrazione prevalentemente americana si è diffusa anche in Italia. Tuttavia, sembra che stavolta il GOAT abbia trascinato, con le dichiarazioni del suo ultimo special, The Closer, l’intera piattaforma nell’occhio del ciclone.

Dave Chappelle non è nuovo a tematiche LGBTQI+: è stato attaccato a più riprese, fin dal suo ritorno sulle scene, in particolar modo dalla comunità transgender.

Tuttavia, mentre negli altri special le opinioni erano mascherate dalle battute, questa volta il comico ha espresso una opinione netta senza fronzoli, di fatto un endorsement a quanto già dichiarato dall’autrice della saga di Harry Potter, J.K.Rowling: “Io sono team TERF. Il genere è un dato di fatto. Ogni essere umano in questa stanza, ogni essere umano sulla Terra, è passato attraverso le gambe di una donna per venire al mondo. Questo è un dato di fatto”. Parole che esprimono il concetto di distanza tra i generi, di fatto non riconoscendo ai transgender lo status di donna a tutti gli effetti; parole che ovviamente hanno suscitato l’ira e l’indignazione della comunità transgender, che vede tra i capisaldi del suo manifesto proprio l’equiparazione dei generi.

The Closer non è, probabilmente, il monologo più esilarante di Dave Chappelle, né tantomeno quello scritto meglio ed è esattamente ciò che il comedian si era prefissato: rinunciare volutamente all’aspetto più comico dello spettacolo in favore della funzione educativa della stand-up. Ma quale aspetto ha scelto di educare?

Politically correct: necessità o estremismo?

Da qualche settimana Netflix ha aggiunto alla sua offerta, tra le altre, una delle serie comiche più acclamate di sempre: Seinfeld. Una serie, come dichiarato spesso dai suoi autori, “sul nulla”: non c’è nessun grande argomento, nessuna morale, nessun percorso di crescita personale dei protagonisti; semplicemente la vita, nei suoi aspetti più ordinari, che a volte possono rivelarsi i più comici.

È questa, dunque, la strada maestra per la comicità? Nessuna tematica scottante e nessuna polemica? Deve, quindi, un comico limitarsi nella sua arte e negli argomenti trattati per evitare di accrescere (cosa di cui è stato accusato Chappelle) odio, fobia o scherno verso determinati soggetti?

La serie non tocca nessuna grande controversia nello stesso modo diretto in cui le affronta Chappelle, eppure Seinfeld offre migliaia di spunti di riflessione sulle nostre convinzioni e sugli atteggiamenti della società intera, a volte le medesime riflessioni che, seppur con modi più “violenti”, lo stesso Chappelle spinge a fare nei suoi monologhi. Dunque il vero problema non è nell’argomento, ma nei modi in cui esso viene trattato: se il comico va a urtare la delicata sensibilità di un soggetto va ostracizzato, imbavagliato perché non conforme alle regole stabilite dal politically correct, mentre se invece spinge alle stesse considerazioni ma lo fa con tatto e senza farsi notare troppo può continuare a esprimere tranquillamente le sue opinioni?

Il P.C. ha seguito lo stesso percorso di molti fenomeni umani: dopo un periodo di estremizzazione del linguaggio verso l’insulto e lo scherno delle comunità discriminate, la giustificata rivalsa di queste comunità ha portato all’estremizzazione diametralmente opposta; e come la storia insegna, ogni estremizzazione porta solo a pessimi risultati. Tra le molte, c'è una battuta a proposito di un episodio che ha coinvolto il rapper americano DaBaby, che ha visto la sua carriera naufragare in seguito a dei commenti omofobi, mentre nessun contraccolpo aveva subito in seguito all’omicidio di un giovane afroamericano; battuta tratta proprio da The Closer e che è emblematica, oltre che del razzismo ancora estremamente diffuso negli USA, dell’estremizzazione del P.C.

nella società moderna: “In questo Paese puoi ammazzare un nero, ma non ferire i sentimenti di un gay”. C’è forse bisogno di un passo indietro da parte dei censori più accaniti per non arrivare ad un futuro nel quale vengano censurati i vecchi film di Stanlio e Ollio per fat-shaming.