Facebook è il social per eccellenza e lo è stato sin dai suoi albori, grazie alla possibilità di dar voce a chiunque su qualunque argomento e in questo modo, di generare discussioni senza termine i cui partecipanti aumentano solamente, di fatto senza mai risolverne nessuna. Dopo le dichiarazioni della whistleblower Francis Haugen sulla gestione moralmente discutibile dei flussi di informazioni e opinioni effettuata dal colosso informatico, Facebook ha deciso di cambiare radicalmente pagina, cambiando il nome della società in Meta e promettendo una nuova rivoluzione digitale; una scelta sicuramente programmata, ma i cui tempi e le cui modalità ricordano molto le metodologie di un “prestigiatore” chiamato Frank Underwood.
La lezione di Frank
House of Cards è una delle serie drammatiche più acclamate di tutti i tempi, nella quale vengono mostrati senza sottigliezze alcuni dei meccanismi attraverso i quali politici, manager e lobbisti esercitano di fatto il loro potere. Il successo planetario di questa serie, basata sull’omonimo romanzo, è dovuto sicuramente all’avvincente storia di ascesa al potere del protagonista Frank Underwood, interpretato magistralmente da Kevin Spacey, contornata dalla qualità della scrittura e dell’interpretazione di tutti gli altri personaggi; ma la ragione vera del successo così vasto di questa serie è senza dubbio la complicità che si instaura tra il protagonista e l’audience. Le confidenze che Underwood fa alla telecamera, meravigliosa breccia nella quarta parete, di fatto spingono lo spettatore a schierarsi senza remora dalla parte del politico corrotto e manipolatore, capace di qualsiasi infamia pur di arrivare allo studio ovale.
Underwood ci mostra tutti i suoi trucchi, le cortine di fumo, i mezzi per sviare l’attenzione, come un prestigiatore a fine carriera farebbe in un documentario dietro le quinte; e noi, il pubblico, rimaniamo estasiati dalla precisione scacchistica con la quale mentre con una mano stringe quella della sua ignara vittima, con l’altra muove già i fili del complesso inganno che ha ordito per accumulare ancora più potere.
Forse è colpa di questa complicità, forse è colpa della conoscenza che abbiamo acquisito dei meccanismi di questi inganni, eppure quando essi ci si presentano nella vita reale, pur riconoscendoli perfettamente non ci scandalizziamo più di tanto.
Il magico trucco chiamato rebranding
Facebook, dopo il processo mediatico scaturito dalle rivelazioni della Haugen, ha scelto di usare un trucco, anziché presentarci la verità.
Una verità molto semplice, in realtà: Facebook non è un ente benefico. Facebook è un’azienda con lo scopo unico e preciso di far soldi, pertanto non è affatto così scandaloso che abbia deciso di favorire la circolazione di notizie e opinioni controverse (ovviamente più attraenti, ergo più condivisioni e più persone coinvolte) per aumentare i propri profitti. Sarebbe come chiedere al cuoco che ha inventato il piatto più buono del mondo di non produrne quanto ne chiedono i clienti perché i clienti ne stanno mangiando troppo e, vittime di indigestione, affollano il pronto soccorso.
Al contrario, Facebook ha deciso di effettuare una operazione di rebranding completa, che promette di rivoluzionare il mondo dei social media e della realtà virtuale ma che per il momento serve solo ad evitare guai con la legge; un po’ come Alitalia che ha eliminato con un colpo di spugna tutti i debiti accumulati, cambiando nome in ITA Airways, ma senza cambiare alcun aereo. Il mondo intero si è scandalizzato per le scelte societarie volte al profitto anziché all’integrità dell’azienda, pratica comune di tutte le grandi multinazionali e mai scalfita dalle critiche che poco possono contro l’Everest di utili generati; eppure nessuno è parso così sconcertato dal motivo palese del trucco chiamato rebranding.
Tutt’altro, la nostra reazione collettiva è stata la stessa dello spettatore che guarda rapito i complotti di Frank Underwood: “grande mossa, vediamo cos’altro s’inventa dopo”. Ci aveva già provato qualche anno fa Kevin Spacey, senza grande successo, quando, accusato di molestie, aveva provato ad usare gli stessi metodi del suo personaggio per sviare l’attenzione dalle accuse; Facebook sembra aver avuto più fortuna, visto che dopo l’annuncio il titolo è volato in borsa guadagnando oltre il 3,5 %. Gli investitori apprezzano la tattica di Zuckerberg e apprezzano soprattutto il fatto che per la maggior parte l’abbiamo apprezzata anche noi, clienti fissi dell’azienda chiamata ormai Meta; d’altronde, il rebranding sarà pure un trucco vecchio ma bisogna ammettere che funziona ancora perfettamente ed è sempre difficile resistere alla vista di un bravo prestigiatore all’opera.