“Qui ci vuole un governo senza leader. Non riusciamo ad avere un governo con i politici”, commentava una signora anziana seduta davanti allo schermo gigante che il partito Ciudadanos installò nel borghese quartiere Ventas di Madrid, domenica sera, per seguire in diretta i risultati della giornata elettorale.
Alle 23 sono stati annunciati i risultati definitivi. Dopo una partenza che favoriva il Partito Popolare e Podemos, l’atteso “sorpasso” del partito Podemos sui socialisti del Partito Operaio Socialista Spagnolo (Psoe) non si è verificato. Il gruppo guidato da Pablo Iglesias non è stato all’altezza delle aspettative ed è rimasto quasi uguale rispetto ai risultati delle elezioni del 20 dicembre del 2015.
La strategia (fallita) di Podemos
La delusione di Pablo Iglesias era evidente. Senza troppi giri di parole, il leader di Podemos ha detto nella conferenza stampa: “Aspettavamo risultati diversi. È il momento di riflettere. La confluenza si è svelata il cammino corretto dalla responsabilità dello Stato (…) Siamo qui per assumere la responsabilità, ma credo che ci resta ancora molto futuro in questo Paese”. Secondo alcuni analisti spagnoli, Iglesias è il principale promotore di terze elezioni, in caso non si arrivi a un accordo per formare il nuovo governo. La campagna elettorale di Podemos è stata molto originale dal punto di vista della comunicazione politica: un catalogo Ikea come programma, concerti e comizi molto più vicini alle persone.
Un documento pubblicato dal sito El Confidencial rivela che il modello di Podemos per questa campagna sull’immagine di Pablo Iglesias era lo scomparso presidente del Venezuela, Hugo Chávez.
Alleanze aritmetica vs. alleanze politiche
“I numeri ci sono, ma è la volontà che manca”, ha detto un ragazzo giovane, dall’aria preoccupata dopo l’annuncio dei risultati.
I popolari di Mariano Rajoy hanno vinto, un’altra volta, ma il voto di fiducia degli spagnoli non basta. Manca la maggioranza assoluta per potere formare un nuovo esecutivo. Il leader del partito Ciudadanos, Albert Rivera, si è detto disponibile ieri sera per una coalizione che salvi la Spagna dall’inerzia in cui è rimasta intrappolata da sei mesi: “Siamo disposti a negoziare, con i nostri 32 seggi, per il bene della Spagna.
Ma ad un’unica condizione: che non si parli di poltrone. Che gli spagnoli siano al primo posto, prima degli incarichi”. Nelle scorse elezioni, Iglesias non ha accettato un accordo con i socialisti perché non gli è stato concesso l’incarico di vicepresidente dell’esecutivo. Ciudadanos è la prima vittima politica delle seconde elezioni: hanno perso lo 0.9% dei voti, che si è tradotto in otto deputati in meno. Rivera ha puntato il dito contro la legge elettorale che favorisce certe circoscrizioni e “crea cittadini di prima e seconda categoria, a seconda del peso del voto”.
Il rischio di terze elezioni
E cosa succederà? Lo spettro di nuove elezioni è dietro all’angolo. L’investitura è attesa per la fine di luglio, ma prima i partiti dovranno mettersi d’accordo per un’alleanza.
Mariano Rajoy ha invitato il leader di Psoe, Pedro Sánchez, al dialogo, ma lui ha già anticipato che è impensabile una coalizione con i populisti perché “hanno mancato di azione e hanno preso decisioni sbagliate”. Restare vedere chi andrà a votare. Circa dieci milioni di elettori non sono andati a votare, registrando l’astensione più alta della storia della democrazia in Spagna.