Paolo Gentiloni è tecnicamente il nuovo presidente del Consiglio, ma l’impressione è che a dare le carte dietro le quinte del Partito Democratico sia ancora Matteo Renzi. Era stato proprio lui, il segretario Dem e ormai ex premier, a promettere a più riprese nel corso dell’ultimo anno che avrebbe abbandonato, non solo Palazzo Chigi, ma proprio la vita Politica in caso di sconfitta nel referendum costituzionale del 4 dicembre (per la cronaca, stravinto 60 a 40 dal No).

Rivediamo, allora, due dei video in cui il ‘Bomba’ annunciava la sua dipartita politica e riproponiamo un elenco cronologico delle sue dichiarazioni sulla questione. Le chiamano post-verità.

29 dicembre 2015 – 2 dicembre 2016: ‘Se perdo lascio la politica’

“È del tutto evidente che se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza in politica”. Si apre con queste parole di una chiarezza cristallina, il 29 dicembre 2015, il lungo elenco di promesse di abbandonare la politica fatte da Renzi nell’ultimo anno di campagna elettorale per il referendum. “Con un gesto di coraggio e dignità ho detto che se si perde il referendum smetto di fare politica”, ribadisce il 12 gennaio 2016, aprendo il nuovo anno.

Concetto ripetuto appena tre giorni dopo, il 15 gennaio: “Ho già preso il solenne impegno, se perderemo il referendum lascio la politica”.

Disco rotto a gennaio, perché il 20 il premier ripete che “se perdessi il referendum considererei conclusa la mia esperienza”. Per chi non avesse ancora capito, il 22 gennaio, “non prendiamo in giro la gente, io non sono come gli altri, se perdo su una cosa così grande è bene che vada a casa”. Il primo mese del 2016 si chiude come si era aperto. “Se sulle riforme gli italiani diranno No - insiste l’allora premier il giorno 25 - prenderò la mia borsettina e tornerò a casa”. A febbraio, il 7, cambiano i termini ma non la sostanza: “Se perdo tirate fuori le vostre idee, ecco la mia poltrona”.

Stessa solfa il 12 marzo perché, “se perdiamo il referendum è sacrosanto non solo che il governo vada a casa, ma che io consideri terminata la mia esperienza politica”.

Nell’aprile del 2016, in tre occasioni (13, 18 e 28) Renzi ribadisce il concetto: “Se perdo vado a casa”. Maggio è un mese intensissimo. Infatti, per ben otto volte (2, 4, 8, 11, 12, 18, 21 e 22), Il segretario Pd tiene a rimarcare la sua diversità dal resto della casta che mette “la colla alla poltrona”. Lui, invece, no, non può “fare finta di niente”, se perde andrà “a fare altro” perché “la mia carriera politica finisce”. A giugno (1, 2 e 29) e luglio (il giorno 4), la parola d’ordine renziana diventa: “O cambio l’Italia o cambio mestire”.

Ad agosto, settembre e ottobre (con esclusione del giorno 6), dopo la sgridata subita da Giorgio Napolitano contro la ‘personalizzazione’ della campagna elettorale, il nostro si astiene da ulteriori dichiarazioni. Salvo ricadere nell’errore a novembre 2016 (il 21, 22, 25, 28 e 30) quando, durante gli ultimi giorni di una campagna al cardiopalmo, Renzi ricomincia a ripetere di non voler rimanere “aggrappato alla sedia”. L’ultima ‘bomba’ arriva il 2 dicembre, a poche ore dall’apertura dei seggi: “Io posso lasciare domattina”. Promessa mantenuta?