Tra le principali aziende tecnologiche della Silicon Valley, Facebook potrebbe essere la più vulnerabile al controllo sui visti dei lavoratori stranieri. Nel 2016 il 15% dei dipendenti dell'azienda di Zuckerberg, secondo una ricerca di Reuters, era in possesso di un visto di lavoro temporaneo. Ben oltre le cifre riportate dalle principali concorrenti come Google, Apple, Amazon e Microsoft. Questo potrebbe essere un problema per il social network e i suoi dipendenti, se il programma H1-B di Donald Trump diventasse più restrittivo.
Facebook e i suoi dipendenti devono davvero temere?
Donald Trump, presidente degli Stati Uniti d'America, e il candidato procuratore Jeff Sessions si sono opposti al programma H1-B, allo stato attuale. Tra le modifiche proposte ci sarà spazio per un'agevolazione nei confronti dei lavoratori "migliori e più brillanti". Ma queste sono solo indiscrezioni, e la politica anti-immigrazione dell'amministrazione americana non lascia molte speranze a Facebook, che è la società che sfrutta maggiormente il modulo H1-B.
Cos'è il visto H1-B e quanto rischia Facebook?
Il visto H1-B non è destinato propriamente agli immigrati, ma a stranieri che ne fanno richiesta per lavorare sul suolo americano. Questo visto di lavoro permette di lavorare temporaneamente in aziende americane, fino ad un massimo di 6 anni.
Affinché il visto venga approvato, l'azienda deve farsi da garante nei confronti del lavoratore, e pagare una tassa. Le aziende hanno sfruttato questi visti per reclutare i migliori talenti, anche se all'atto pratico una parte di essi è stata destinata al settore outsourcing. Donald Trump ha deciso di rivedere il visto H1-B, con una particolare attenzione alle aziende tecnologiche come appunto Facebook.
Secondo le stime del 2016, il valore medio dello stipendio di un dipendente di Facebook dotato di visto H1-B è stato di 145.000 dollari. Questi cambiamenti che avverranno, eventualmente, dovrebbe andare a premiare i visti per i posti di lavoro più importanti e che producono di più, una mossa studiata per ridurre l'emissione da parte di imprese di outsourcing.