La Turchia è sempre stata una guida, per la laicità dello stato, in tutto il mondo, che a volte troppo grezza, a volte troppo dura, ha portato alla ribellione dei cittadini più conservatori.
Islamisti al governo
Il partito islamista dell'attuale presidente turco è al governo da quasi 15 anni. Recep Tayyip Erdoğan, conservatore e promotore dell'islamismo moderato turco, è sempre stato preso come modello da seguire da altri partiti islamisti nel mondo. Inizialmente filo-occidentale, paladino della giustizia sociale e guida nella crescita economica turca, ha presto cambiato ideologia politica, specialmente sul tema della laicità di stato e in politica internazionale.
Dopo le rivoluzioni "arabe" del 2011, ingenti finanziamenti e aiuti economici sono arrivati nelle casse dei partiti che si collocavano sulla stessa onda "filo-islamica" del presidente turco. Il più importante esempio del "islamismo internazionale" perpetrato da Erdogan, è Ennahda, partito islamico tunisino, che ha sempre detto di ispirarsi alla politica di Erdogan. Quello che più preoccupa però è la deriva autoritaria, militarista e oppressiva che la sua politica ha intrapreso nell'ultimo periodo.
Colpo di stato e autoritarismo
Il leader carismatico è divenuto ben presto un sultano, sul modello ottomano. Il sogno di ricostruire una Turchia forte e guida dell'islam, inizia a conquistare terreno nella realpolitik.
Dopo il tentato "colpo di stato" del 15 luglio 2016, la deriva autoritaria non si fa aspettare. Migliaia di arresti, violazioni di diritti umani, licenziamenti e violenze hanno accompagnato la "rinascita islamista turca". Affiancato da milioni di sostenitori conservatori, Erdogan si fa forte e richiede un referendum per ottenere pieni poteri.
L'Europa è divisa di fronte alle richieste di Erdogan
Erdogan non sicuro di poter vincere le elezioni, con la middle class turca insicura per la mancanza di crescita economica e gli imprenditori spaventati dalla crisi del deficit, fa pressioni sui media e sulle istituzioni statali per cercare di influenzare il voto. Un'altra risposta adottata dal leader turco è quella di cercare voti all'estero, tra i milioni di emigrati turchi nel mondo.
La campagna elettorale per il referendum comincia proprio in Europa, tra i suoi alleati NATO.
Dopo il primo meeting a Metz in Francia, la campagna avrebbe dovuto continuare nei Paesi Bassi e in Germania. Questi ultimi due paesi però negano l'intervento del ministro degli esteri turco sul proprio territorio. L'Europa si divide sulle pretese del presidente turco. Erdogan risponde duramente e si è subito creata una crisi politica senza precedenti tra governo olandese e Turchia. Il suo obbiettivo è stato centrato, in questo modo farà colpo sui milioni di immigrati, che di fronte alla negazione della manifestazione turca in Europa, vedranno il proprio orgoglio nazionale calpestato. Il referendum ci regalerà molte sorprese.