Nel mese prossimo il Dalai Lama si recherà in visita in Botswana per partecipare a una conferenza sui diritti umani. Lo ha annunciato una settimana fa la presidenza Botswana attraverso un comunicato. Secondo quanto reso noto dalle autorità di Gaborone, il leader spirituale della tradizione buddhista tibetana e Premio Nobel per la pace del 1989 parteciperà all’incontro che si terrà tra il 17 e il 19 di agosto e durante questa visita incontrerà anche il presidente Ian Khama.

Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse per le pessima relazione esistente tra il Dalai Lama e la Cina, uno dei principali partner economici del Botswana.

Tenzin Gyatso (il nome da monaco dell’attuale Dalai Lama) era anche il leader politico del Tibet, vasta regione montuosa attualmente rientrante nei confini geo-politici della Cina ma che rivendica da sempre autonomia e indipendenza politica. Il leader, dopo aver tentato una rivolta pacifica contro Pechino, abbandonò la regione assieme al suo governo nel 1959 per rifugiarsi in esilio nella vicina India, dove nel 2011 ha deciso di abdicare la sua autorità politica a una figura eletta democraticamente. Si concluse così una tradizione lunga 368 anni per cui i Dalai Lama detenevano il potere spirituale e temporale sul territorio tibetano.

Era prevedibile che l’annuncio avrebbe messo sotto stress il legame tra Gaborone e Pechino e creato tensioni.

È già successo in passato. Basti pensare che il vicino Sudafrica per le stesse ragioni ha negato il visto al monaco buddhista in ben tre occasioni dal 2009 ad oggi. Infatti il giorno dopo l'annuncio, le istituzioni della Repubblica popolare hanno fatto sapere di sperare che il Botswana prenda la decisione “corretta” su questa visita.

Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Geng Shuang, ha detto ai media che il Dalai Lama indossa gli abiti religiosi per portare avanti sentimenti anti-cinesi, dunque la Cina si oppone a qualsiasi incontro ufficiale che lo coinvolga. “Speriamo che il Botswana possa riconoscere la vera essenza del Dalai Lama e rispettare le preoccupazioni della Cina facendo la scelta giusta”, ha messo in guardia Shuang senza approfondire.

I legami tra il Botswana e il gigante cinese sono essenzialmente economico-commerciali e sono esplosi dal 2008 quando il volume degli scambi economici era già arrivato a 360milioni di dollari e da allora non ha fatto che aumentare nonostante la crisi economica mondiale. Il rapporto di scambio è simile a quello instaurato con altri paesi africani: la Cina in pieno boom economico aveva bisogno di soddisfare l’enorme domanda interna di materie prime di cui il Botswana è ricco e quest’ultimo necessitava di investimenti in infrastrutture e di prodotti di consumo a basso costo. Il risultato è che Gaborone oggi può godere di strade, dighe aeroporti e centrali elettriche grazie alle compagnie di stato cinesi e ai fiumi di denaro della Banca cinese di sviluppo (CDB).

Dal primo Forum sulla cooperazione Cina-Africa del 2000 ad oggi il governo di Pechino ha stanziato 129 milioni di dollari in investimenti allo sviluppo. Ecco perché la Cina può permettersi di avere voce in capitolo su tutto, anche su chi viene invitato a Gaborone.

Non stupisce, data la presenza sempre più radicata della Cina in Africa, come dimostrano le ultime cifre rese note dalla ricerca dell’istituto McKinsey a fine giugno. Secondo il rapporto se gli investimenti cinesi nel continente dovessero continuare a questi ritmi si arriverà a un volume di 250 miliardi dollari nel 2025. Nel continente operano ormai oltre 10.000 imprese cinesi a dimostrazione di come Pechino abbia superato di gran lunga i vecchi partner commerciali Francia, Germania, India e Stati Uniti anche grazie al fatto che i leader politici africani apprezzano molto la linea diplomatica della “non interferenza” sugli affari interni africani adottata da Pechino.

Nel 2015, il commercio di merci totale tra Cina e Africa ammontava a 188 miliardi di dollari. Le imprese cinesi sono responsabili del 12% della produzione industriale africana, valutata intorno a 500 miliardi di dollari l’anno, e possiedono quasi il 50% della quota di mercato del comparto ingegneristico, dell’approvvigionamento e dell’edilizia in Africa.