Ignazio Visco è stato riconfermato alla guida della banca d'italia: si chiude così il caso politico più delicato e discusso delle ultime settimane che ha visto il Presidente del Consiglio ed il Quirinale sponsorizzare la nomina dell'attuale governatore ed il segretario del PD, Matteo Renzi schierarsi apertamente contro. Gli ultimi passaggi formali sono terminati nella giornata di ieri con la firma del decreto di nomina del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Favorevoli i pareri espressi sia da parte del consiglio superiore di Via Nazionale che del consiglio dei ministri, il quale ha definitivamente approvato la delibera con cui veniva indicato Ignazio Visco come nome scelto dal governo.

Il Cdm si è espresso all'unanimità in merito alla riconferma dell'attuale governatore, sebbene alcuni dei ministri più vicini all'ex premier Matteo Renzi, tra i quali Graziano Delrio, Luca Lotti, Maurizio Martina e Maria Elena Boschi, non abbiano partecipato alla riunione a causa di impegni pregressi o perché malati.

Pd

Matteo Renzi si è sempre rivelato contrario alla riconferma di Ignazio Visco, dapprima attraverso una mozione parlamentare, sebbene non ne abbia, però, mai rivendicato la paternità e, successivamente, dichiarando in un'intervista a Porta Porta di non condividere la scelta di Gentiloni qualora venisse riconfermato il nome di Visco: ci sarebbero stati 6 anni di disastro nel settore bancario, ha dichiarato Renzi, proprio durante il mandato dell'attuale governatore.

Ieri pomeriggio l'ex premier è tornato sulla questione dichiarando che in merito alla scelta di Visco ci sono stati dei pareri discordanti anche all'interno del partito ma, nonostante ciò, le opinioni sono sempre state espresse in modo chiaro e sereno. E' stata fatta una scelta diversa ed il Pd non può che augurare buon lavoro al governatore nuovamente nominato.

Banca d'Italia: il tragitto dall'autonomia alla privatizzazione

Da tempo la Banca d'Italia è proprietà privata: proprietari sono le altre banche. Questa realtà deriva dal frutto di alcune manovre iniziate nel 1982, quando il socialista Rino Formica, in contrasto con le idee del collega Beniamino Andreatta della sinistra Dc, decise di voler il divorzio della Banca centrale dal Tesoro.

Nonostante tutto Andreatta vinse, rimuovendo l'obbligo per la Banca Centrale di acquistare i titoli di Stato e, da quel momento, il governo, per finanziare la spese, dovette rivolgersi ai mercati finanziari pagando interessi ben superiori rispetto a quelli pagati in precedenza. Con l'aumento degli interessi e della spesa pubblica il debito in dieci anni passò dai 142 miliardi di euro del 1981 a mille miliardi nel '92. Successivamente il Ministro del Tesoro Guido Carli attribuì alla Banca d'italia il potere di variare il tasso di sconto senza più doverlo concordare con il tesoro ma, nel frattempo, veniva varata la legge per la privatizzazione delle banche che coinvolse, ovviamente, anche la Banca d'Italia. Ancora una volta è stata proprio la sinistra Dc nel 2006 con Prodi e nel 2013 con Letta a legiferare ed il tragitto dall'autonomia alla privatizzazione si è, così, concluso.