La lontananza geografica della Cina non deve, oggi più che mai, nascondere ai nostri occhi l'importanza di quanto sta avvenendo in queste settimane nel cosiddetto 'Impero di mezzo'. Un pianeta confuso, e su cui la politica sembra incapace di offrire una chiara visione per il futuro, si trova di fronte a un leader che sembra in grado di fornire una prospettiva di cambiamento non solo al proprio paese. E non dovrebbe essere una sorpresa che la Cina, con il sul 1,4 miliardi di abitanti, possa pretendere un ruolo di primo piano sul palcoscenico globale.

A maggior ragione dovremmo dunque porci il problema di come il nostro vecchio mondo reagirà a cambiamenti che stanno avvenendo.

Quale posto per la Cina nel mondo?

Ma quali sono gli avvenimenti che dovrebbero attirare la nostra attenzione? E' di pochi giorni fa la notizia del percorso che porterà a rimuovere il limite di due mandati che la costituzione cinese prevedeva: ora la via è spianata affinché lo stesso Xi possa mantenere il potere oltre i canonici 10 anni, che hanno scandito la successione tra le varie generazioni dei leaders dopo la morte di Mao. Ma fino qui potremmo leggere la questione come il 'semplice' rafforzamento di un leader forte che in questo modo si prepara a tenere il potere con il pugno di ferro per qualche decennio ancora.

Si tratta invece di qualcosa di più, che ci appare chiaro solo se cerchiamo di capire alcuni altri elementi della revisione costituzionale che verrà sottoposta alla prossima seduta plenaria del Parlamento. Si costruisce infatti il profilo di un paese destinato a contare sempre di più nei prossimi anni, e a generare conseguenze avvertibili nelle nostre stesse vite.

Se il contributo ideologico di Xi Jinping alla costruzione del socialismo con caratteristiche cinesi era stato già inserito nella costituzione (rendendo la sua figura di fatto di poco inferiore in importanza a quella di Mao, e superiore a quella di Deng Xiaoping), si tratta ora di fornire una visione in cui la Cina si impegna alla 'costruzione di una comunità con un futuro condiviso per l'umanità'.

Si tratta di un passo sostanziale, preparato da una politica di dialogo che ha visto un lungo percorso di avvicinamento, marcato da un incontro di più di 300 leaders politici che si sono incontrati a Pechino tra novembre e dicembre scorsi nel 'World Political Parties High-Level Meeting'; dalla minuziosa preparazione di un piano di investimenti che toccherà decine di paesi nello sviluppo della nuova 'Via della seta'; da un riconosciuto attivismo nei rapporti con i paesi in via di sviluppo in attività di cooperazione spesso guardate con sospetto dai tradizionali 'paesi donatori', che vedono anche in questo il loro storico monopolio venire meno.

Il rilancio del ruolo globale della Cina passa anche per quello che appare un'altro passaggio epocale nella politica cinese: una nuova relazione con il vaticano, fondata su un accordo per la nomina dei vescovi che governano le diocesi del paese.

Si tratta di un tema la cui importanza va al di là della comunità dei cattolici cinesi, 10-12 milioni di fedeli stimati in crescita che vivono la loro appartenenza religiosa tra il controllo dell'Associazione Patriottica (direttamente controllata dal governo) e una chiesa 'sotterranea' che ritrova nella fedeltà al Papa l'unico punto di riferimento. In un percorso difficile e non senza contestazioni, Papa Francesco ha perseguito ostinatamente un cammino di dialogo, verso un accordo che alcuni osservatori segnalano come imminente. Da chi critica la 'ostpolitik' vaticana, si sottolineano (con ragione) i limiti sostanziali che incontra la libertà religiosa in Cina, e si interpretano questi sviluppi come una forma di sottomissione della chiesa al potere di Xi, che verrà in questo modo messo in grado di controllare più direttamente ogni attività della chiesa; ma l'ultima parola non è ancora detta su questo tema, e non mancano autorevoli voci della chiesa 'sotterranea' che vedono con favore la possibilità di svolgere le proprie attività alla luce del sole, senza sentirsi vincolati (più di tanto) dal controllo statale.

Si tratta in ogni caso di un ravvicinamento importante, che vede come protagonisti due dei leaders la cui autorevolezza è riconosciuta unanimemente a livello globale.

La stretta ideologica di Xi

La religione è diventata negli ultimi anni un fattore di scontro significativo, in particolare nelle regioni periferiche dove risiedono le minoranze, avvertite dal regime come 'pericolose' per l'unità ideologica del paese: il Tibet buddista (dove fortissima è stata la pressione negli anni passati); e lo Xinjiang, abitato da popolazioni di religione islamica, cui si vieta di manifestare la propria fede durante il Ramadan, e dove si proibisce ai bambini di partecipare alle funzioni religiose. Non sorprende dunque l'obbligo di registrazione recentemente promulgato anche per tutti i sacerdoti cattolici, e per tutte le attività di carattere religioso, così come gli occasionali, ma ripetuti, episodi di prepotenza commessi dalle autorità locali nei riguardo dei luoghi di culto, sia cattolici che di altre confessioni religiose.

La sostanziale stretta sul controllo interno viene sancito anche da altri due elementi destinati ad entrare nella costituzione: il giuramento di lealtà, che tutti i funzionari pubblici dovranno prestare nel momento in cui prenderanno in carico la loro funzione; e l'inclusione nella costituzione della commissione di supervisione sulle politiche contro la corruzione (politiche che hanno significativamente segnato i primi cinque anni del potere di Xi). Non si tratta però di una stretta solo repressiva: a tutti i cinesi è richiesto di allinearsi ai 'quattro comprensivi', i principi cardine del pensiero di Xi:1. costruire una società 'moderatamente' prospera 2. incoraggiare le riforme 3. governare secondo il principio dello stato di diritto 4.

rafforzare la disciplina di partito.

Si tratta di una stretta ideologica che viene effettuata anche riscrivendo la storia, e mantenendo l'unità del paese intorno ad elementi più antichi ma ancora sentiti come un certo recupero del confucianesimo, senza per questo rinnegare alcun elemento della storia passata che il confucianesimo cercò di sradicare senza alcun appello.

Tenere insieme un paese enorme e disomogeneo, così come dare un senso unitario nella lettura di una storia per molti aspetti contraddittoria: è questa la sfida di quello che si annuncia come il lungo regno di Xi, che potrà assumere, a seconda del modo in cui verrà interpretato delle valenze molto diverse. Siamo di fronte alla prospettiva di un potere che si consolida intorno a certezze ideologiche già sperimentate, oppure che saprà cogliere nella prospettiva di uno sguardo sul futuro la capacità di traghettare la Cina verso assetti che ancora non sappiamo riconoscere?