Nell’ottobre del 2017 il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese ha confermato la leadership del presidente Xi Jinping e ha inserito nello statuto del partito il progetto Belt and road iniziative, noto anche come Nuove Vie della Seta. Un progetto che, ispirandosi alle antiche vie carovaniere, mira a creare sempre più collegamenti commerciali fra Cina, Europa e Africa, passando per le regioni dell’Asia centrale. Un manifesto di come Pechino voglia rinforzare il proprio ruolo di potenza economica mondiale, fornendo anche una sua nuova visione di sviluppo e globalizzazione.

Di tutto questo, e delle opportunità che potrebbero derivarne per l’Italia, si è discusso in una conferenza a Roma presso la sede della Società italiana per l’organizzazione internazionale (Sioi), l’associazione italiana per le Nazioni Unite.

“La visione programmatica politica ed economica della Cina – ha dichiarato il presidente della Sioi Franco Frattini, aprendo l’incontro – non è quinquennale o decennale, ma generazionale e quindi di lunghissimo periodo. Attraverso queste iniziative, mette a disposizione di governi e investitori privati opportunità di libero mercato che ora mancano in Occidente: sia nell’Unione Europea sia negli Stati Uniti dell’amministrazione Trump”.

“Il XIX Congresso del Partito Comunista Cinese – ha commentato Vincenzo Amendola, sottosegretario agli Esteri – ha mostrato come la Cina voglia offrire al mondo un’idea di crescita economica più sostenibile, creando nuove connessioni con aree meno sviluppate.

Queste Nuove Vie della Seta arrivano nel Mediterraneo e l’Italia deve inevitabilmente sentirsi coinvolta”.

Risorgimento cinese

“Il nostro sogno – ha spiegato Li Ruiyu, ambasciatore di Pechino in Italia – è un risorgimento cinese con il nostro popolo che diventa sempre più forte e, nel perseguire questo obbiettivo, offre molte opportunità a tanti Paesi per crescere tutti insieme, aumentando la cooperazione internazionale”.

L’ambasciatore ha poi ricordato che l’economia cinese, nel 2017, è cresciuta del 6,9%, confermando la tendenza decisamente positiva degli ultimi cinque anni con tasso medio del 7,1%. Il tutto mantenendo sotto il 3% il rapporto fra debito pubblico e prodotto interno lordo e riducendo il consumo di combustibili fossili. Inoltre la classe media cinese “è la più grande del mondo e diventa un mercato di consumo sempre più vasto”.

Per quanto riguarda i rapporti con l’Italia, Li Ruiyu giudica positivamente l’attuale situazione e ritiene che possa migliorare ulteriormente perché “in molti settori gli interessi cinesi e italiani coincidono” e il nostro Paese è visto come modello di ispirazione non solo per agro-alimentare, cultura e moda ma anche, per esempio, nella sanità. Ha infine rinnovato l’auspicio che “porti italiani come Venezia e Trieste possano diventare sempre più importanti nelle rotte commerciali cinesi”.

Visione geopolitica di lungo periodo

“L’Europa – ha affermato Ettore Sequi, ambasciatore italiano in Cina – ha avviato il più grande progetto di ingegneria politica pacifica: l’Unione Europea. Questo dimostra la profondità della tradizionale visione geopolitica dei Paesi europei, diversa da quella statunitense, più votata all’ampiezza di raggio d’azione, nell’ottica di una superpotenza mondiale, e da quella cinese, caratterizzata da una prospettiva di lungo periodo.

Con Belt and road iniziative la visione cinese sta assumendo una profondità sempre maggiore”.

È un processo che “andrà avanti con o senza l’Italia” e per questo “dobbiamo esserci come classe politica e comunità imprenditoriale”. Il nostro Paese “fortunatamente sembra averlo capito più di tanti altri Stati europei”. L’Italia, ha concluso, è “la patria dell’innovazione, della creatività e della capacità di adattamento, caratteristiche che si sposano benissimo con il pragmatismo cinese”.

Spostare verso Pechino l'Ostpolitik italiana

Ha infine preso la parola Alessandro Politi, direttore del Nato Defense college foundation, che ha ricordato come “la storica Via della Seta sia tramontata nel Settecento con il crollo dell’Impero Safavide in Iran e la crisi dell’Impero Moghul in India”, lasciando buona parte dell’Asia, nell’Ottocento e nel Novecento, in balia di colonialismi vari e successivamente del dominio sovietico.

“Dopo 300 anni – ha continuato Politi – la Cina sta tentando di riattivarla con un ampio programma di investimenti dove rivestono un ruolo fondamentale quelli nei trasporti. Per gli Stati dell’Asia centrale infatti, lo sviluppo di un’efficiente rete ferroviaria avrebbe la stessa importanza storica che ebbe, per gli Stati Uniti, il collegamento fra la costa atlantica e pacifica”.

“Certamente – ha concluso – la Cina pensa al proprio interesse, ma nel farlo può portare benefici a molti altri Paesi, senza per questo arrivare a dominare il mondo. Sulla scia del suo storico ruolo di ponte dell’Occidente verso Oriente, l’Italia deve spostare sempre più la sua Ostpolitik verso Pechino”.