I 'tempi supplementari' concessi dal presidente della Repubblica scadranno entro le prossime 48 ore. Il 21 maggio Luigi Di Maio e Matteo Salvini saliranno al Colle per presentare a Sergio Mattarella la stesura definitiva del 'contratto di governo' e per comunicare il nome del premier. La carta in tal caso è ancora coperta: stando ai diretti interessati non sarà nessuno dei due, anche se il popolo pentastellato non ha mai smesso di sperare che Salvini alla fine 'conceda' la presidenza a Di Maio.
Sarà un politico o un tecnico? Nel rispetto di ciò che i due partiti hanno portato avanti in questa settimana si dovrebbe propendere per la prima soluzione e, se politico sarà, dovrebbe essere più vicino al M5S per una questione di maggioranza relativa. Naturalmente l'ultima parola spetta al Capo dello Stato e, pertanto, non bisogna dar nulla per scontato. Ciò che invece sembra palese è una frattura all'interno della coalizione più votata alle elezioni dello scorso 4 marzo: il cosiddetto 'forzaleghismo' costruito nel 1994 da Silvio Berlusconi che, a parte qualche deragliamento iniziale (la Lega fu la maggiore responsabile della caduta del primo Governo Berlusconi nel dicembre 1994, ndr), va avanti da un ventennio, è probabilmente giunto al capolinea in questo convulso maggio del 2018.
Una coalizione fragile
Non siamo affatto sorpresi. Stando ai sondaggi prima del 4 marzo, era prevedibile che la coalizione di centrodestra sarebbe stata la più votata, ma restava comunque una 'strana' coalizione i cui poli principali avevano ben poche cose in comune: il nazionalpopulismo di Salvini condito da ampie colate di euroscetticismo ed il liberismo berlusconiano, il cui europeismo è uno dei punti cardine? Definirli due 'separati in casa' che stavano insieme per reciproca convenienza è un qualcosa che si avvicinava fin troppo alla realtà. Restava il dubbio su chi, tra Lega e Forza Italia, avrebbe conquistato la virtuale leadership interna, ma anche in questo caso siamo stati buoni profeti dando ai forzisti pochissime chances di crescita anche alla luce dell'incandidabilità di Silvio Berlusconi e, nel contempo, dando atto a Salvini di essere riuscito a trasformare la Lega da movimento secessionista a partito di destra nazionalista.
Le urne hanno eletto il segretario del Carroccio in qualità di leader del centrodestra ed hanno designato il centrodestra con una virtuale maggioranza alle Camere, ma non tale da poter governare il Paese. Nel surreale scenario post-elettorale, il 'balletto' è andato avanti per oltre 60 giorni: Salvini ha aperto il dialogo con i Cinque Stelle, partito di maggioranza relativa. Di Maio si è dichiarato disponibile a trattare solo con la Lega escludendo Berlusconi e, tra il desiderio di formare un governo e la necessità di tenere unito il centrodestra, erano venuti fuori tutti i limiti del Carroccio, stretto tra i due fuochi.
Dall'astensione benevola all'opposizione?
Nel momento in cui le penultime consultazioni al Quirinale hanno espresso una fumata nerissima e tutti si stavano già predisponendo ad una campagna elettorale più o meno imminente, è nato l'asse Di Maio-Salvini per il contratto di governo.
Berlusconi si è fatto da parte, ma non è stato un segno di debolezza. In questo modo si è tirato fuori eliminando possibili alibi che sarebbero stati abilmente sfruttati in campagna elettorale: se il governo non vedrà la luce, non ci sarà alcuna responsabilità da parte del leader di Forza Italia. Il Cavaliere si è schierato dalla parte di un 'astensione benevola' o 'benevolenza critica' che dir si voglia per prendere le distanze dal possibile esecutivo 'giallo-verde', imitato da Fratelli d'Italia. Stando a questa posizione, al momento della fiducia in parlamento, gli alleati di Salvini non voteranno contro il suo governo, ma semplicemente non esprimeranno alcuna preferenza. Ad oggi, però, non siamo più tanto sicuri dell'astensione benevola dei berlusconiani e di Fratelli d'Italia ed escludiamo categoricamente il sostegno esterno.
Il governo M5S-Lega potrebbe seriamente trovare il centrodestra orfano di Salvini ad un'opposizione tutt'altro che benevola: riteniamo che in quel momento non avrà davvero più senso parlare di coalizione.
Salvini-Berlusconi alla resa dei conti?
La sentenza che ha riabilitato Berlusconi che, oggi, è a tutti gli effetti candidabile per qualunque tornata elettorale, non ha innescato alcuna reazione a catena. A premere il detonatore però ci ha pensato Matteo Salvini, sottoscrivendo insieme al M5S alcuni punti del contratto di governo certamente poco graditi al leader di Forza Italia, ad iniziare dal famoso conflitto di interessi. Se uniamo questi punti ad altri passaggi che hanno fatto suonare più di qualche campanello d'allarme a Bruxelles, ci rendiamo conto di come il Cavaliere abbia iniziato a guardare il nascente programma con un certo astio.
Da qui la sua auto-candidatura a premier che ha fatto andare i leghisti su tutte le furie. Siamo convinti che Berlusconi stia ancora sperando che l'esecutivo giallo-verde non veda la luce, ma possiede abbastanza esperienza Politica per capire che, al contrario, ci sono buone prospettive che riceva l'incarico da Mattarella. Se vista sul fronte salviniano, invece, la ritrovata candidabilità dell'alleato è stata un motivo in più per accelerare i tempi e chiudere il contratto: inutile negare che tornare al voto con Berlusconi in corsa può rimettere in discussione la leadership leghista. Qui però ad essere messa seriamente in discussione è l'esistenza stessa del polo di centrodestra, ma non è assurdo pensare che Salvini possa scegliere di 'rottamare' le vecchie alleanze, almeno temporaneamente.
Se il governo con il M5S dovesse durare fino alla fine della legislatura, probabilmente avrà avuto ragione lui. Il tempo gioca dalla sua parte e visto che la parabola politica di Berlusconi, per evidenti motivi anagrafici, non sarà ancora lunghissima, nessuno meglio del leader leghista è in grado di ereditarne la completa leadership di un centrodestra unito, magari un unico partito. Stiamo però guardando fin troppo lontano: in questo maggio del 2018, invece, la politica italiana sembra avere un unico, grande vincitore ed è Luigi Di Maio. Se il 'governo per il cambiamento' dovesse morire sul nascere o avere un breve arco di vita, il leader pentastellato sarebbe comunque colui che, agli occhi degli italiani, ha tentato in tutti i modi di costituire un esecutivo (lanciano un appello addirittura al PD), ma la sua sarebbe stata anche una 'trappola perfetta' per il centrodestra. In un colpo solo il leader del M5S è ad un passo dal governare e dal frantumare il principale avversario politico. E pensare che c'è ancora chi lo considera inesperto e sprovveduto.